Ricorso della Regione autonoma della Sardegna (cod. fisc. 80002870923) con sede legale in 09123 Cagliari (CA), Viale Trento, n. 69, in persona del Presidente pro tempore Dott. Ugo Cappellacci, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del presente atto, dagli Avv.ti Tiziana Ledda (cod. fisc.: LDDTZN52T59B354Q; fax: 0706062418; posta elettronica certificata: tledda@pec.regione.sardegna.it) e Prof. Massimo Luciani (cod. fisc.: LCNMSM52L23H501G; fax: 0690236029; posta elettronica certificata massimoluciani@ordineavvocatiroma.org), elettivamente domiciliata presso lo Studio del secondo in 00153 Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio, n. 9; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in 00186 Roma, e' domiciliato ex lege, per la dichiarazione dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 119, 122, 142, 429, 499, 508, 511, 526 e 527 della l. 27 dicembre 2013, n. 147, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2014)", pubbl. in G.U. 27 dicembre 2013, n. 302, S.O. n. 87 F a t t o 1.- La l. 27 dicembre 2013, n. 147, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2014)", pubbl. in G.U. 27 dicembre 2013, n. 302, S.O. n. 87, si compone di un unico articolo, del quale fanno parte ben 749 commi. Detta legge, nel dettare le disposizioni di bilancio per il triennio 20142016, ha disciplinato una vasta pluralita' di oggetti, tra i quali - per citare solo alcuni aspetti di quanto qui interessa direttamente - l'imposizione di oneri di finanza pubblica a carico delle Regioni (commi 119, 429, 499, 526 e 527); la parziale modificazione della disciplina del patto di stabilita' (comma 122); l'istituzione di nuove forme d'imposizione fiscale (comma 142); la riserva all'erario delle nuove entrate derivanti da precedenti manovre di finanza pubblica (comma 508). Alla realizzazione della complessiva manovra di finanza pubblica varata con la l. n. 228 del 2012 sono state chiamate, dunque, anche le autonomie territoriali, ma per alcuni significativi profili in forme e con contenuti del tutto illegittimi. Specificamente illegittimi, e violativi delle attribuzioni della ricorrente, sono, nelle parti indicate in epigrafe e che appresso meglio si identificheranno, le disposizioni di cui ai commi 119, 122, 142, 429, 499, 508, 511, 526 e 527 dell'art. 1. Esse debbono essere pertanto dichiarate costituzionalmente illegittime per i seguenti motivi di D i r i t t o 1.- Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 119, della l. 27 dicembre 2013, n. 147. Il comma in esame dispone che, "al fine di garantire un adeguato livello di erogazione di servizi sanitari nella regione Sardegna, interessata dai gravi eventi alluvionali del mese di novembre 2013, a decorrere dal 1° gennaio 2014 gli obiettivi finanziari previsti dalla disposizione di cui all'articolo 15, comma 14, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, possono essere conseguiti su altre aree della spesa sanitaria". L'art. 15 del d. l. n. 95 del 2012, cui fa espresso riferimento la disposizione impugnata, ha imposto alle Regioni e alle Province di Trento e Bolzano una serie di limitazioni all'autonomia finanziaria, relative al finanziamento e al funzionamento del servizio sanitario regionale. Una di esse era recata dal comma 14, ove si stabiliva che "A tutti i singoli contratti e a tutti i singoli accordi vigenti nell'esercizio 2012, ai sensi dell'articolo 8-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, per l'acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati per l'assistenza specialistica ambulatoriale e per l'assistenza ospedaliera, si applica una riduzione dell'importo e dei corrispondenti volumi d'acquisto in misura percentuale fissa, determinata dalla regione o dalla provincia autonoma, tale da ridurre la spesa complessiva annua, rispetto alla spesa consuntivata per l'anno 2011, dello 0,5 per cento per l'anno 2012, dell'1 per cento per l'anno 2013 e del 2 per cento a decorrere dall'anno 2014. La misura di contenimento della spesa di cui al presente comma e' aggiuntiva rispetto alle misure eventualmente gia' adottate dalle singole regioni e province autonome di Trento e Bolzano e trova applicazione anche in caso di mancata sottoscrizione dei contratti e degli accordi, facendo riferimento, in tale ultimo caso, agli atti di programmazione regionale o delle province autonome di Trento e Bolzano della spesa sanitaria. Il livello di spesa determinatosi per il 2012 a seguito dell'applicazione della misura di contenimento di cui al presente comma costituisce il livello su cui si applicano le misure che le regioni devono adottare, a decorrere dal 2013, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera a), terzo periodo del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 , convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111". In conseguenza dei limiti economici fissati all'art. 15 del d. l. n. 95 del 2012 (tra cui quello di cui al comma 14), lo Stato, col successivo comma 22 dello stesso art. 15 del d. l. n. 95 del 2012, ha ridotto il finanziamento al servizio sanitario nazionale "di 900 milioni di euro per l'anno 2012, di 1.800 milioni di euro per l'anno 2013 e di 2.000 milioni di euro per l'anno 2014 e 2.100 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015". Per le Regioni a Statuto speciale, invece, e' stato previsto l'obbligo di "assicurare il concorso" agli obiettivi di finanza pubblica connessi alla riduzione della spesa sanitaria versando direttamente allo Stato la somma equivalente ai risparmi conseguiti, attraverso "le procedure previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42" e, nelle more dell'adozione delle norme di cui all'art. 27 della l. n. 42 del 2009, attraverso accantonamenti "a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali". Deve essere ricordato che l'odierna ricorrente, con ricorso iscritto al R.G. n. 160 del 2012, ha gia' impugnato l'art. 15, comma 22, del d. l. n. 95 del 2012, censurando la lesione all'autonomia finanziaria della Regione Sardegna determinata dall'imposizione di obblighi straordinari di finanza pubblica, illimitati nel tempo e concernenti la spesa sanitaria regionale, che, ai sensi dell'art. 1, comma 836, della l. n. 296 del 2006, grava per l'intero sulle finanze regionali (ivi si prevede che "dall'anno 2007 la regione Sardegna provvede al finanziamento del fabbisogno complessivo del Servizio sanitario nazionale sul proprio territorio senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato"). Sulla questione codesta Ecc.ma Corte deve ancora pronunciarsi. Le medesime censure debbono oggi essere riproposte avverso l'art. 1, comma 119, della legge impugnata. Con tale previsione, infatti, lo Stato ha inteso confermare in capo alle Regioni gli "obiettivi finanziari" (che altro non sono se non obblighi finanziari) gia' imposti dall'art. 15 del d. l. n. 95 del 2012, i quali debbono essere assolti non solo attraverso la diminuzione della spesa sanitaria, ma anche attraverso la corresponsione allo Stato delle somme equivalenti ai risparmi conseguiti o, nelle more, tramite l'accantonamento a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi. 1.2.- Alla luce di quanto osservato in precedenza, appare evidente che il legislatore, con la disposizione in esame, ha imposto oneri di finanza pubblica da corrispondere direttamente allo Stato in un ambito che e' integralmente finanziato dalla Regione ricorrente, come dispone l'art. 1, comma 836, della l. n. 296 del 2006). Per tale ragione, appare evidente che il legislatore statale non ha inteso porre principi per il governo e il contenimento della spesa statale per la salute pubblica nel territorio sardo, ma ha direttamente posto un onere su un capitolo di spesa che ormai e' gestito e finanziato autonomamente dalla Regione Sardegna. In altri termini, la Regione Sardegna, che e' stata onerata dal 2006 del finanziamento integrale della spesa sanitaria regionale, sara' costretta a stornare una quota parte delle risorse stanziate per il Servizio sanitario regionale e devolverle sic et simpliciter allo Stato, a titolo di contributo di finanza pubblica. Cio' determina non solo un'evidente lesione dell'autonomia finanziaria regionale, ma anche l'evidente compromissione del diritto alla salute dei cittadini residenti in Sardegna, che sopportano le conseguenze di un illegittimo depauperamento delle risorse destinate a sostenere il Servizio sanitario nella Regione. A questo proposito, si deve ricordare che codesta Ecc.ma Corte costituzionale si e' pronunciata su un caso analogo gia' con la sent. n. 133 del 2010. Allora si controverteva della legittimita' costituzionale dell'art. 22, commi 2 e 3, del d. l. n. 78 del 2009: "La predetta norma, nel prevedere l'istituzione di un fondo con dotazione di 800 milioni di euro - «destinato ad interventi relativi al settore sanitario» ed alimentato con le economie di spesa derivanti, tra l'altro, dall'applicazione del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39 [...] - dispone che «in sede di stipula del Patto per la salute e' determinata la quota che le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano riversano all'entrata del bilancio dello Stato per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale»" (cosi' e' riassunta la questione nella narrativa della menzionata pronuncia). Codesta Ecc.ma Corte costituzionale, a quel proposito, rilevo' che "lo Stato, quando non concorre al finanziamento delta spesa sanitaria, «neppure ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario» (sentenza n. 341 del 2009)". Similmente, nel caso giudicato con sent. n. 341 del 2009 si controverteva sulla legittimita' costituzionale dell'art. 61, comma 14, del d. l. n. 112 del 2008, ove si prevedeva che "siano ridotti del 20 per cento, rispetto all'ammontare risultante alla data del 30 giugno 2008 e a decorrere dalla data di conferimento o rinnovo degli incarichi, i trattamenti economici complessivi spettanti ai direttori generali, ai direttori sanitari, ai direttori amministrativi, ed i compensi spettanti ai componenti dei collegi sindacali delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, delle aziende ospedaliero universitarie, degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e degli istituti zooprofilattici". Codesta Ecc.ma Corte costituzionale, rilevato che "Le risorse provenienti dalla riduzione dei compensi di dirigenti e sindaci delle strutture sanitarie, prevista dalla disciplina impugnata" sarebbero state poi utilizzate per consentire che le "Regioni stesse concorr[essero] con lo Stato alla copertura dei relativi oneri" e considerato che la Provincia autonoma di Trento (ricorrente in quella vicenda) "provvede interamente al finanziamento del proprio servizio sanitario provinciale, «senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato» (art. 34, comma 3, della legge n. 724 del 1994)", ha affermato che "in tale diverso e peculiare contesto, l'applicazione alla Provincia autonoma di Trento del comma 14 dell'art. 61 non risponderebbe alla funzione che la misura in questione assolve per le altre Regioni. Dal momento che lo Stato non concorre al finanziamento del servizio sanitario provinciale, ne' quindi contribuisce a cofinanziare una eventuale abolizione o riduzione del ticket in favore degli utenti dello stesso, esso neppure ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario che definiscano le modalita' di contenimento di una spesa sanitaria che e' interamente sostenuta dalla Provincia autonoma di Trento". Tanto, e' evidente, deve valere anche nel caso qui in esame. 1.3.- Ne' serve ad escludere o a mitigare la lesivita' del comma impugnato il fatto che sia consentito alla Regione Sardegna di individuare "altre aree della spesa sanitaria" alle quali imputare gli "obblighi finanziari" imposti alla Regione. Tali obblighi, infatti, comunque continueranno ad insistere su ambiti dell'attivita' regionale che sono interamente finanziati dalle entrate proprie della Regione, sicche' lo Stato non ha titolo per imporre alla ricorrente alcun vincolo alla sua autonomia finanziaria. 1.4.- Non basta. Gli "obiettivi finanziari" imposti alla Regione ricorrente non sono ne' straordinari ne' limitati nel tempo, ma, ai sensi dell'art. 15, comma 22, del d. l. n. 95 del 2012, cui essi si riferiscono, crescono fino a toccare (insieme con quelli gravanti sulle altre Regioni e Province autonome) l'enorme somma di due miliardi e cento milioni di euro "a decorrere dall'anno 2015" (e quindi di li' in avanti). Se questo e', come e', vero, sono violati i principi che codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha ricavato dal testo costituzionale a presidio dei rapporti finanziari tra Stato e Regione. Nella sent. n. 82 del 2007, ad esempio, si e' affermato che le "limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti" (come e' quella posta con il comma in esame) possono darsi solamente "in via transitoria e in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale". La disposizione in esame, invece, non pone vincoli transitori, ma definitivi. Nella recentissima sent. n. 193 del 2012, poi, codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha ricordato di essersi "espressa sulla non incompatibilita' con la Costituzione delle misure disposte con l'art. 14, commi 1 e 2, del d.l. n. 78 del 2010, sul presupposto - richiesto dalla propria costante giurisprudenza - che [sono legittime] le norme che «si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di' un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (sentenza n. 148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011 e n. 326 del 2010)". 1.5.- Si deve poi, osservare che il comma impugnato viola anche il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., in relazione al diritto alla salute ex art. 32 Cost. e agli artt. 7 e 8 dello Statuto. Come si e' gia' visto, il comma 119 esplicitamente riconosce che le limitazioni all'autonomia finanziaria di cui all'art. 15 del d. l. n. 95 del 2012 non consentono di "garantire un adeguato livello di erogazione di servizi sanitari nella regione Sardegna, interessata dai gravi eventi alluvionali del mese di novembre 2013". Di fronte al riconosciuto vulnus alla salute nel territorio regionale, dovuto non solo ai drammatici eventi climatici dello scorso novembre, ma anche ai limiti alla spesa sanitaria imposti dallo Stato, il legislatore statale avrebbe dovuto escludere del tutto l'applicazione di quegli "obiettivi finanziari" che, invece, ha inteso qui nuovamente ribadire. Non avendo cosi' proceduto, pero', il legislatore ha adottato una disposizione intimamente contraddittoria, circostanza che dimostra di per se' la violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. Il fatto che il comma impugnato incida direttamente nell'autonomia finanziaria regionale, nonche' nella gestione e nel finanziamento della spesa sanitaria regionale, poi, dimostra il fatto che l'irragionevolezza del comma 119 dell'art. 1 della l. n. 147 del 2013 ridonda in violazione dell'art. 32 Cost. e degli artt. 7 e 8 dello Statuto sardo. Infatti: - sono violati gli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 della Costituzione, che tutelano la particolare autonomia finanziaria della Regione Sardegna, nonche' il principio di leale collaborazione di cui all'art. 117 Cost., anche in relazione all'art. 1, comma 836, della l. n. 296 del 2006, perche' lo Stato impone oneri su un capitolo di spesa che e' integralmente finanziato dalla Regione, cosi' impedendo alla Regione lo svolgimento autonomo delle funzioni (anche economico-finanziarie) direttamente conferite dallo Stato. - e' violato l'art. 8 dello Statuto, perche' gli obiettivi finanziari posti in capo alla Regione Sardegna vanno ad incidere anche sulle quote di compartecipazione alle entrate erariali previste appunto dall'art. 8 dello Statuto, quote di compartecipazione che debbono essere coerenti con le esigenze della popolazione sarda, mentre qui - come si e' visto - e' lo stesso legislatore statale che (paradossalmente, illogicamente e illegittimamente) riconosce l'inadeguatezza delle risorse conferite; - e' violato l'art. 3 Cost., in relazione all'art. 32 Cost. e agli artt. 7 e 8 dello Statuto, in quanto gli "obiettivi finanziari" imposti dallo Stato mettono a repentaglio la "garanzia di un adeguato livello di erogazione di servizi sanitari nella regione Sardegna, interessata dai gravi eventi alluvionali del mese di novembre 2013"; - e' violato l'art. 6 dello Statuto, in quanto il minor finanziamento della spesa sanitaria impedisce di fatto alla Regione di esercitare la sua potesta' amministrativa in materia, contando su un adeguato ambito di discrezionalita' (il risparmio, infatti, deve comunque essere ottenuto nel comparto della sanita'). 1.7.- Non basta. Violato e' anche l'art. 81 Cost., in relazione ancora agli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 Cost. Come si e' visto, lo Stato ha imposto alle Regioni ulteriori obiettivi finanziari, che queste debbono raggiungere non solo attraverso il conseguimento di miglioramenti delle loro finanze, ma anche versando direttamente allo Stato somme pari a quelle risparmiate. Di conseguenza: - e' violato il principio di equilibrio tra le entrate e le spese a bilancio, (primo comma dell'art. 81 Cost.) dato che il bilancio dello Stato consegue il proprio equilibrio solo a costo di essere finanziato direttamente dalle Regioni e, in particolare, dalla ricorrente (cosi' - anche - violandone l'autonomia finanziaria e contravvenendo agli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 Cost.); - per lo stesso motivo e' violato il principio di adeguata ed effettiva copertura delle spese (terzo comma dell'art. 81 Cost.), dato che il bilancio statale si finanzia attraverso un onere imposto alle Regioni, sulle quali e' illegittimamente e illogicamente ribaltato l'onere di copertura delle spese, in evidente elusione della disciplina costituzionale di bilancio (ancora una volta con lesione dell'autonomia finanziaria della ricorrente e contestuale violazione degli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 Cost.). 2.- Illegittimita' costituzionale del comma 122 dell'art. 1 della l. 24 dicembre 2013, n. 147. Il comma 122 dell'art. 1 della l. n. 47 del 2013 aggiunge la lett. n-quinquies) all'art. 32, comma 4, della l. n. 183 del 2011 (finanziaria per il 2012). L'art. 32 della l. n. 183 del 2011 ha riformato la disciplina del patto di stabilita' interno delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano. Un anno dopo, con i commi 454 sgg. dell'art. 1 della l. n. 228 del 2012 (finanziaria del 2013), quella disciplina e' stata nuovamente riformata, attraverso diverse interpolazioni del testo dell'art. 32 della l. n. 183 del 2011. Con il comma in esame, tale regolamentazione e' ulteriormente modificata, attraverso la previsione di una nuova tipologia di spesa che non deve essere computata in quelle rilevanti per il rispetto del patto di stabilita' interno, che fissa i limiti di impegno finanziario sostenibili dalla Regione. In particolare, vengono escluse dalla rendicontazione delle spese interne al patto di stabilita' quelle "effettuate a valere sulle risorse assegnate alla regione Sardegna dalla delibera CIPE n. 8/2012 del 20 gennaio 2012, pari a 23,52 milioni di euro, limitatamente all'anno 2014". Nel modificare ulteriormente il meccanismo del patto di stabilita', pero', il legislatore statale non ha previsto un adeguamento diretto del patto di stabilita' che delimita l'autonomia finanziaria della Regione Sardegna in ossequio alla riforma dell'art. 8 dello Statuto, intervenuta con l'art. 1, comma 834, della l. n. 296 del 2006, attraverso un innalzamento, in corrispondenza delle maggiori entrate di cui la Regione beneficia in ragione del nuovo art. 8 dello Statuto, dell'obiettivo della Sardegna relativo al "complesso delle spese finali consentite in termini di competenza eurocompatibile" (cosi' si esprime la legge nel configurare il piu' recente sistema di calcolo e regolazione dei rapporti contabili tra Stato e Regioni). 2.1.- Come la Corte ben sa, atteso che la vicenda e' stata ed e' alla base di un cospicuo contenzioso costituzionale, l'art. 8 dello Statuto e' stato modificato dall'art. 1, comma 834, della l. n. 296 del 2006, cosi' da aumentare le risorse regionali, che la stessa Ragioneria Generale dello Stato aveva ritenuto insufficienti e disallineate rispetto al trend di crescita delle entrate tributarie che si riscontrava nelle altre Regioni (cfr. le Note del Ragioniere Generale dello Stato 3 agosto 2005, prot. n. 0102482, e 2 settembre 2005, prot. n. 0112371). Le possibilita' di utilizzo delle risorse riconosciute dalla riforma dello Statuto, pero', sono circoscritte e limitate dal sistema del patto di stabilita', che - come e' ben noto - e' il meccanismo di governo della finanza regionale e degli enti territoriali disegnato dal legislatore statale al fine di coniugare la tutela dell'autonomia finanziaria della Regione e (in diverso grado) degli enti locali, con il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica della Repubblica in tutte le sue articolazioni istituzionali. Il contenuto del patto di stabilita' per le Regioni ad autonomia speciale e' sempre stato oggetto di accordo tra Stato e singola Regione o Provincia autonoma, pur nel succedersi delle continue riforme del meccanismo (si vedano l'art. 24 della l. n. 448 del 2001; l'art. 29 della l n. 289 del 2009; l'art. 1, comma 132, della l. n. 220 del 2010; l'art. 32 della l. n. 183 del 2011, ora l'art. l, comma 454, della l. n. 228 del 2012). Il meccanismo del patto di stabilita', dunque, si fonda sul principio dell'accordo tra eguali, mediante il quale la Regione esercita la propria autonomia finanziaria e lo Stato garantisce il conseguimento degli obiettivi generali di finanza pubblica. A partire dal 2011, la ricorrente, nel formulare le proposte per l'accordo sul patto di stabilita', ha richiesto al MEF un (comunque prudenziale e sempre parziale) innalzamento del livello degli impegni e dei pagamenti in corrispondenza delle nuove entrate derivanti dal nuovo regime finanziario di cui all'art. 8 dello Statuto. Sin dal 2011, con Nota 7 giugno 2011, prot. n. 50971 il Ministero ha sempre rigettato dette proposte, affermando che "pur comprendendo le esigenze di codesta Regione di trasfondere sulla propria potenzialita' di spesa la piena entrata a regime del nuovo ordinamento finanziario [...] tale richiesta necessita di un intervento legislativo volto ad individuare la corrispondente compensazione finanziaria in termini di fabbisogno e di indebitamento netto", sicche' "in assenza di una disposizione legislativa che preveda misure compensative a favore di codesta Regione [...] a livello tecnico, non sussist[o]no margini per un ampliamento del tetto dei pagamenti" (cosi' la Nota 7 giugno 2011, prot. n. 50971). A causa della posizione assunta dal MEF, a partire dal 2010 lo Stato e la Regione hanno potuto stipulare solamente mere intese tecniche, limitate ad alcuni aspetti marginali della disciplina del patto di stabilita', senza piu' conseguire l'accordo generale sul livello delle spese regionali, che e' invece il cardine dell'intero meccanismo. Anzi, l'odierna ricorrente e' stata costretta a gravare i provvedimenti ministeriali di rigetto delle proposte regionali con appositi ricorsi. 2.3.- La Regione ha costantemente negato che l'esecuzione del novellato art. 8 dello Statuto di autonomia (anche quanto all'adeguamento del patto di stabilita') richiedesse una qualsivoglia intermediazione legislativa attraverso un comune atto con forza di legge o tramite un decreto legislativo recante norme di attuazione dello stesso Statuto. Questa posizione e' confortata da limpide statuizioni di codesta Ecc.ma Corte costituzionale. In particolare, con la sent. n. 99 del 2012, la Corte costituzionale, adita dallo Stato per veder dichiarata l'illegittimita' dell'art. 3 della l. reg. n. 12 del 2011 (con la quale era stato previsto che la Regione dovesse procedere all'accertamento delle poste in attivo di bilancio ai sensi dell'art. 8 dello Statuto nella formulazione vigente), ha affermato che non vi era una "sufficiente motivazione" a sostegno della necessita' (asserita dallo Stato, come si e' detto) che il nuovo art. 8 dello Statuto, per produrre i propri effetti al fine di determinare "la quota di tributi da trasferire alla Regione in riferimento a ciascuna compartecipazione", dovesse essere attuato con la particolare procedura per l'approvazione dei decreti legislativi di attuazione. Cio' significa che la Regione Sardegna, al momento di predisporre il proprio bilancio previsionale, puo' e deve immediatamente fare affidamento sulle entrate derivanti dal nuovo art. 8, e contabilizzarle di conseguenza. Inoltre, tanto comporta che lo Stato, nella gestione (in via amministrativa e in via legislativa) dei rapporti finanziari con la ricorrente, deve osservare le previsioni, immediatamente applicabili, dell'art. 8 dello Statuto. Nondimeno, pur a fronte dell'evidente correttezza dell'assunto regionale, lo Stato ha (altrettanto costantemente, se ne e' dato conto), affermato che in carenza di un'intermediazione legislativa l'esecuzione del citato art. 8, novellato, dello Statuto non sarebbe possibile e che, inoltre, non sarebbe possibile nemmeno l'adeguamento della capacita' di spesa della Regione alle maggiori disponibilita' finanziarie riconosciute dall'art. 1, comma 834, della l. n. 296 del 2006, modificativo - appunto - dell'art. 8 dello Statuto. 2.4.- Il quadro dei rapporti finanziari tra Stato e Regione ha visto una svolta con la l. n. 182 del 2012, recante "Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2012", pubblicata in G.U. 26 ottobre 2012, n. 251, Suppl. ord. Come ricordato da codesta Ecc.ma Corte nella sent. n. 95 del 2013, "l'andamento della cd. vertenza entrate denota significativi sviluppi in senso favorevole alle richieste della Regione dopo che il legislatore statale, nell'adottare disposizioni per l'assestamento del bilancio per l'anno finanziario 2012, con la legge 16 ottobre 2012, n. 182, ha destinato 1.383.000.000 euro al fine di devolvere alla Regione il gettito delle entrate erariali ad essa spettanti in quota fissa e variabile", ai sensi dell'art. 8 dello Statuto. Ulteriore novita' e' stata recata dall'art. 11, comma 5-bis, del d. l. n. 35 del 2013 che, "al fine di dare piena applicazione, secondo i principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 118 del 2012, al nuovo regime regolatore dei rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione Sardegna, disciplinato dalle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 , tenendo conto degli stanziamenti di competenza e cassa allo scopo previsti nel bilancio di previsione per l'anno finanziario 2013 e nel bilancio pluriennale per il triennio 2013-2015", ha dato mandato al Ministro dell'Economia e delle Finanze (MEF) di concordare con la Regione Sardegna "le modifiche da apportare al patto di stabilita' interno per la Regione Sardegna". Nonostante la chiarissima previsione della disposizione ora menzionata e nonostante il finanziamento delle nuove risorse ex art. 8 dello Statuto, cui si e' provveduto con la l. n. 182 del 2012, il MEF non ha ancora stipulato con la Regione ricorrente l'accordo con cui portare i limiti alla finanza regionale derivanti dal patto di Stabilita' ad un livello coerente e compatibile con le risorse di cui all'art. 8 dello Statuto. 2.5.- Tutto cio' considerato, davanti alla persistente inerzia dell'Amministrazione ministeriale nel dare applicazione all'art. 8 dello Statuto, assumendo le determinazioni che il quadro normativo non solo consente (con la l. n. 182 del 2011) ma addirittura impone (con l'art. 11, comma 5-bis, del d. l. n. 35 del 2013), almeno il legislatore, nel modificare ulteriormente il patto di stabilita' per la Regione Sardegna, avrebbe dovuto intervenire direttamente nel prevedere la rideterminazione del patto di stabilita' valevole per la Regione Sardegna. Non avendo cosi provveduto, il legislatore statale ha violato il principio di ragionevolezza e il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., gli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 dello Statuto, gli artt. 2, 3, 5, 81, 117 e 119 della Costituzione, anche in riferimento all'art. 11 della l. n. 196 del 2009. Come ricordato piu' volte, l'art. 8 dello Statuto della Regione Sardegna e' stato novellato dall'art. 1, comma 834, della l. n. 296 del 2006. Risulta dal citato carteggio del 2005 tra la Ragioneria generale dello Stato e la Regione che l'aumento delle entrate che ne e' conseguito non intende certo soddisfare un capriccioso desiderio della Regione di avere a disposizione risorse maggiori, ma e' stato la logica conseguenza della necessita' di adeguare il quadro finanziario a tre dati. Anzitutto, al conferimento alla Regione Sardegna di una serie di attribuzioni (in materia di trasporti, sanita', continuita' territoriale, cfr. art. 1, commi 836 e 837, della l. n. 296 del 2006) del cui costo lo Stato si e' sgravato, gravandone per converso la Regione che - evidentemente - non avrebbe potuto esercitarle in carenza di adeguate risorse economiche. In secondo luogo, alla mutata realta' sociale ed economico-finanziaria di riferimento. Nel corso degli anni, invero, come e' naturale, l'onere economico derivante dall'esercizio delle funzioni conferite alla Regione, a partire da quelle conferite in via esclusiva dall'art. 3 dello Statuto, si e' fatto piu' consistente, anche a causa dell'esigenza di garantire standard sempre piu' elevati di qualita' dei servizi pubblici e del generale aumento dei costi. Anche la gia' ricordata Nota del 3 agosto 2005 della Ragioneria Generale dello Stato lo ha constatato, prendendo atto delle "mutevoli necessita' di spesa derivanti dall'espletamento delle funzioni normali della Regione" (si badi: normali, sicche' non e' qui questione del rapporto tra funzioni "nuove" e loro copertura con risorse altrettanto "nuove"!). Da ultimo (ma non per ultimo) all'impellente necessita' di rimediare alle gravi ed evidenti anomalie applicative, riconosciute dalla stessa Ragioneria Generale dello Stato, determinate dal precedente regime finanziario. Si fa ancora riferimento al carteggio tra la ricorrente e la Ragioneria Generale dello Stato dell'estate 2005. Ivi il Ministero ha preso atto di un "anomalo trend dell'IRPEF regionale rispetto a quello nazionale" nei trienni 1991-1993 e 1996-1998 e di una "progressiva svalutazione in termini reali del cespite regionale" relativo alla compartecipazione IVA. E' facile comprendere come le anomalie applicative del previgente regime finanziario abbiano indebitamente compresso le entrate regionali e come questa compressione, a sua volta, abbia determinato un'indebita riduzione della capacita' di spesa, posto che (data la mancata esecuzione integrale della riforma dell'art. 8 dello Statuto, anche in termini di innalzamento della capacita' di spesa) la capacita' di spesa ancora oggi riconosciuta alla Regione fa riferimento (nientemeno!) all'anno 2005. Quando la l. n. 296 del 2006, novellando lo Statuto, ha modificato il quadro finanziario aumentando le entrate disponibili per la Regione Sardegna, pertanto, non ha fatto altro che adeguare il quadro delle entrate alle necessita' delle spese e correggere le gravi distorsioni applicative che avevano caratterizzato il precedente regime finanziario e che avevano di fatto contraddetto il senso stesso del sistema di compartecipazione alle entrate tributarie, secondo il quale le entrate (e con esse le spese, salvi i risparmi di volta in volta imposti) regionali dovevano fisiologicamente crescere al crescere del gettito tributario. E' chiaro, dunque, che i fondi che devono pervenire alla Regione ai sensi dell'art. 8 dello Statuto e che sono stati (finalmente) inseriti nel bilancio dello Stato con la l. n. 182 del 2012 sono tutti preordinati allo svolgimento, da parte della Regione ricorrente, delle funzioni pubbliche e dei servizi (anche essenziali, come quelli sanitari) assegnatile dalla Costituzione (artt. 117 e 119 Cost.), dallo Statuto (artt. 3, 4 e 5), dalle leggi dello Stato (per tutte valga il riferimento ai commi 836 sgg. dell'art. 1 della l. n. 296 del 2006, che hanno operato gli ultimi - in ordine di tempo - trasferimenti di funzioni a carico del bilancio regionale). E' del tutto evidente, conseguentemente, che il mancato adeguamento delle possibilita' di spesa della Regione non solo ne limita l'autonomia finanziaria (tutelata dagli artt. 7 dello Statuto e 119 Cost.), ma ha come immediata conseguenza la lesione dei diritti dei cittadini residenti in Sardegna (garantiti dall'art. 2 Cost.) e la violazione del principio del loro eguale trattamento quali cittadini della Repubblica (art. 3 Cost.). Cio' considerato, e' palese che ogni modificazione del sistema del patto di stabilita' per le Regioni speciali, specie se intervenuta successivamente allo stanziamento dei fondi relativi alle nuove quote di compartecipazione alle entrate erariali, doveva necessariamente essere accompagnata dalla previsione dell'adeguamento del livello delle spese in termini di competenza eurocompatibile che possono essere impegnate e liquidate dall'Amministrazione regionale, dato che, nella (pur radicalmente contestabile, si ripete) prospettiva assunta dallo Stato quanto alle modalita' di entrata a regime dei nuovo sistema di compartecipazione, tale previsione legislativa era - appunto - necessaria. Proprio per questo, con censure analoghe a quelle qui proposte, la Regione ha gia' ritenuto di dover impugnare i commi 456 sgg. dell'art. 1 della l. n. 228 del 2012, che, come gia' detto, ha riformato per intero la disciplina del patto di stabilita' interno tra Stato e Regioni (cfr. R. Ric. n. 41/2013). In mancanza di tale adeguamento, invero, la ragione stessa della novellazione dell'art. 8 dello Statuto viene tradita, perche' essa non era certo preordinata ad apprestare arbitrariamente alla Regione una maggiore disponibilita' di somme di danaro, bensi' ad assicurare una piu' compiuta capacita' di esercitare le funzioni di competenza e di soddisfare i diritti dei cittadini sardi. Non serve a nulla, dunque, alla Regione, avere la disponibilita' di maggiori somme, se la disciplina del patto di stabilita' non consente alla Regione medesima e al MEF di accordarsi sulla possibilita' che tali somme siano spese. 2.5.1.- A questo proposito, va subito dissipato un possibile equivoco. E' cosa nota che il meccanismo del patto di stabilita' interno pone alle Regioni e agli enti locali un limite ulteriore rispetto al semplice vincolo di bilancio, fissando un tetto massimo sia al livello massimo delle spese che possono essere impegnate, sia al livello massimo dei pagamenti che possono essere liquidati da parte dell'Amministrazione interessata. Orbene, la ricorrente non intende in alcun modo sottrarsi a questo meccanismo di governo dell'economia pubblica, che opera direttamente attraverso una limitazione della spesa. Purtuttavia si deve segnalare che per le altre Regioni (anche a statuto ordinario) l'ulteriore "strozzatura" della spesa pubblica determinata dal patto di stabilita' si innesta su un quadro fisiologico della finanza regionale, sia pel profilo dei rapporti economico-finanziari tra Stato e Regione, sia pel profilo della corrispondenza tra le risorse disponibili e le necessita' di spesa dell'Ente connesse alle funzioni novellamente conferite. Per la Regione Sardegna, invece, come si e' gia' detto, il patto di stabilita' interno incide in una situazione di finanza regionale che risulta essere patologica per esplicito riconoscimento dello stesso Stato. In altri termini: non solo le entrate sono insufficienti (o, meglio, lo saranno sino a che non saranno interamente liquidati gli importi maggiori iscritti al bilancio dello Stato dalla legge di assestamento 2012) a far fronte al fabbisogno di spesa, ma la spesa e' ulteriormente ridotta a causa della base di calcolo dei vincoli del patto di stabilita', con un effetto esponenziale sconosciuto alle altre Regioni. Mentre per le altre Regioni, invero, il patto di stabilita' interno e' calcolato tenendo conto della reale misure delle risorse spettanti, per la Regione Sardegna cio' non accade, perche' il patto assume a base di calcolo le risorse anteriori alla novellazione del 2006, che pero' era indispensabile - si e' visto - per l'assolvimento delle funzioni gia' assegnate alla Sardegna e, a piu' forte ragione, di quelle ad essa trasferite in quella occasione (a partire da quelle, onerosissime, per la Sanita'). Solo per le altre autonomie speciali, dunque, il patto di stabilita' puo' rappresentare uno strumento ragionevole e coerente di coordinamento della finanza pubblica. Per la Regione Sardegna la sua applicazione in difetto della piena esecuzione del nuovo art. 8 dello Statuto si rivela, invece, irragionevole e violativa dell'autonomia finanziaria regionale. 2.5.2.- Per tutte le anzidette ragioni, il legislatore natale e' palesemente incorso nei vizi sopra indicati non avendo previsto, al momento di riforniate la disciplina del patto di stabilita' anche in seguito allo stanziamento in bilancio delle somme necessarie a finanziare il nuovo regime economico della Regione, gli strumenti per l'aumento del livello delle spese e dei pagamenti che possono essere effettuati dalla Regione Sardegna. E' di immediato apprezzamento, anzitutto, la violazione dell'art. 8 dello Statuto. Addirittura dopo aver stanziato le somme necessarie a liquidare alla Regione le quote di compartecipazione fissate dalla disposizione in esame, e proprio all'atto di modificare la disciplina del patto di stabilita' per la Sardegna, lo Stato non si cura di consentire alla Regione l'utilizzo di tali somme, cosi' rendendo di fatto inutili detti stanziamenti e procrastinando ancora la completa ed esatta esecuzione della novella statutaria, anche in violazione del consolidato principio che i sacrifici finanziari imposti alle Regioni in limitazione della loro autonomia possono essere ragionevoli solo se (ragionevolmente, appunto) temporanei (cfr., tra le recenti, sent. n. 193 del 2012), il che, nella specie, non e', visto il pervicace rifiuto statale di eseguire quanto disposto dalle previsioni statutarie. Tanto determina anche la conseguente violazione dell'autonomia finanziaria della Regione, tutelata (anche) dall'art. 7 dello Statuto e dall'art. 119 Cost., autonomia che (come gia' detto supra) impone la garanzia delle capacita' sia di entrata che di spesa che derivano dal regime delle compartecipazioni erariali di cui all'art. 8 dello Statuto. Evidente, poi, e' il vizio di irragionevolezza della disposizione censurata, perche' l'impossibilita' di effettivo impiego delle somme stanziate collide con le finalita' della disposizione medesima, chiamata a ripartire i sacrifici finanziari secondo le possibilita' e le esigenze di ciascuno. L'art. 3 Cost., inoltre, risulta violato anche pel profilo del principio di eguaglianza, poiche', come si e' visto, la Regione Sardegna risulta essere discriminata nei confronti di tutte le altre, subendo la cristallizzazione di limiti derivanti dal patto di stabilita' che non tengono conto della (patologica) peculiarita' della sua situazione finanziaria. Lampanti, infine, sono le violazioni degli altri parametri costituzionali (art. 117) e statutari (artt. 3, 4 e 5) gia' indicati, per il semplice motivo che le risorse in oggetto - lo si deve ribadire - sono tutte preordinate allo svolgimento di funzioni pubbliche riconosciute come essenziali per la comunita' regionale dallo stesso Stato. 2.5.3.- Violato e', altresi', il principio di corrispondenza fra le entrate e le spese del bilancio regionale, di cui all'art. 81, comma 1 (nella formulazione vigente, comma 4 nella precedente) della Costituzione. E' cosa nota che le politiche di bilancio devono rispettare il principio di parita' di entrata e di spesa. Tale principio - lo si e' gia' accennato - e' stato ribadito da codesta Ecc.ma Corte costituzionale proprio nello scrutinare un conflitto in tema di rapporti economico-finanziari tra le parti del presente giudizio. Ci si riferisce, in particolare, alla decisiva e piu' volte citata sent. n. 118 del 2012. In quel caso, lo si ripete, la Regione Sardegna aveva impugnato la Nota del Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, 7 giugno 2011, n. 50971, avente ad oggetto: "Patto di stabilita' interno per l'anno 2011. Proposta di accordo per la Regione Sardegna". Con quell'atto l'Amministrazione statale aveva rigettato la proposta di patto di stabilita' per il 2011 ritualmente formulata dalla Regione ai sensi della legge vigente (art. 1, comma 132, della l. n. 220 del 2010) con cui si chiedeva un innalzamento del livello delle spese e dei pagamenti assentiti in ragione delle maggiori entrate previste dal riformato art. 8 dello Statuto. Codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha affermato, con cristallina chiarezza, che e' "di palmare evidenza che [...] il principio inderogabile dell'equilibrio in sede preventiva del bilancio di competenza comporta che non possono rimanere indipendenti e non coordinati, nel suo ambito, i profili della spesa e quelli dell'entrata". E' stato cosi' stabilito, in modo inequivocabile, che non solo sul piano logico (il che e' addirittura autoevidente) ma anche su quello giuridico esiste e deve essere rispettato un principio di corrispondenza fra livello delle entrate e livello delle spese. Tale principio, e' cosa ovvia, deve essere rispettato anche nel dominio del patto di stabilita' e, pertanto, non solo al livello della negoziazione fra la Regione e il MEF, ma anche a quello della disciplina legislativa statale, oggi nuovamente modificata proprio in relazione alla sola Regione Sardegna. Anche in questo caso, infatti, si deve anzitutto escludere che il principio di corrispondenza tra entrate e spese possa essere di alcun ostacolo al funzionamento del meccanismo del patto di stabilita' o al raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica che la Repubblica si propone, anche nel rispetto del quadro economico tracciato in sede di Unione Europea o di piu' ristretta Unione monetaria. In primo luogo, infatti, il principio di parita' fra entrate e uscite non impedisce che la Regione Sardegna possa e debba contribuire agli obiettivi di finanza pubblica. In secondo luogo, proprio codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha inteso precisare, ancora nella sent. n. 118 dei 2012, che lo strumento del patto di stabilita', per non condurre ad esiti illegittimi e irragionevoli, deve muoversi proprio nell'ambito definito dal principio di parita' di entrate e uscite di bilancio e dall'obbligo dell'Ente territoriale autonomo di contribuire alla Finanza pubblica: "il contenuto dell'accordo" che Ministero e Regione stipulano per fissare i reciproci obblighi di finanza pubblica "deve essere compatibile con il rispetto degli obiettivi del patto di stabilita', della cui salvaguardia anche le Regioni a statuto speciale devono farsi carico e contemporaneamente deve essere conforme e congruente con le norme statutarie della Regione, ed in particolare con l'art. 8 dello statuto modificato - per effetto del meccanismo normativo introdotto dall'art. 54 dello statuto stesso - dall'art. 1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007). Quest'ultimo ha rideterminato e quantificato le entrate tributarie e la loro misura di pertinenza della Regione autonoma Sardegna". Per le ragioni anzidette, proprio movendo dalla (peraltro errata) prospettiva che e' necessaria un'intermediazione legislativa per portare a compimento il nuovo regime finanziario previsto dallo Statuto, lo Stato aveva il preciso e inequivocabile dovere (essendo state vane altre iniziative legislative) di prevedere l'adeguamento del livello delle spese e dei pagamenti della Regione nel momento in cui modificava la disciplina del patto di stabilita', oltretutto dopo che il bilancio statale era stato assestato per tenere conto (seppure con un gravissimo ritardo e solo nella prospettiva delle entrate regionali) della necessaria esecuzione dell'art. 8 dello Statuto. Non avendo operato in tal senso, lo Stato ha certamente violato l'indicato principio di parita' tra le entrate e le uscite regionali, di cui all'art. 81, comma 1, della Costituzione. 2.5.4.- L'art. 81 Cost. e' violato anche per un ulteriore profilo. Si e' gia' detto della sent. n. 99 del 2012, in cui la Corte ha respinto (perche' inammissibile) il ricorso dello Stato avverso la l. reg. n. 6 del 2011, che impone alla Regione di contabilizzare le nuove risorse ex art. 8 dello Statuto tra i capitoli in entrata del proprio bilancio. Cio' considerato, e' evidente che l'impossibilita' di utilizzare le anzidette risorse per lo svolgimento delle funzioni pubbliche confidate alla Regione determina il continuo accumularsi di avanzi di bilancio (dovuti al blocco degli impegni di spesa) e, soprattutto, di ingenti residui passivi (dovuti al blocco dei pagamenti regionali). Tanto comporta che, a causa del mancato adeguamento del patto di stabilita' regionale, il bilancio della Sardegna anno per anno si allontana dal principio di veridicita' (sul fatto che l'accumulo di residui "lascia desumere una stesura di bilanci non completamente rispondente ai principi di veridicita' e chiarezza", cfr. Corte conti, Sez. giurisd. Puglia, sent. 9 giugno 1997, n. 21; ma anche Sez. riunite Sardegna, ord. 28 giugno 2007, n. 611; Sez. contr. Calabria, 21 maggio 2008, n. 130, ove si afferma che "il mantenimento nel bilancio di un elevato volume di residui attivi e passivi [...] pone dei seri problemi in ordine ad una corretta rappresentazione dei dati di bilancio ed al rispetto dei principi di chiarezza, veridicita' ed attendibilita', con possibili riflessi negativi sugli equilibri dei futuri bilanci dell'ente" etc.). Nel paradossale caso di specie, dunque, l'illegittimita' della legislazione statale (nonche' dell'azione amministrativa statale nel corso della c.d. "vertenza entrate") genera vizi occulti del bilancio della ricorrente, che vede lesa una volta di piu' la propria autonomia finanziaria, tutelata dagli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 Cost. 2.5.5.- Come si e' accennato nel paragrafo precedente, la violazione dell'art. 81 Cost., ridonda immediatamente nella violazione delle attribuzioni costituzionali e statutarie della ricorrente. In particolare, e' nuovamente violato l'art. 8 dello Statuto, perche', come si e' gia' detto, la disponibilita' in entrata delle risorse finanziarie "rideterminate" e "quantificate" in detta disposizione (per usare gli stessi, puntuali, termini impiegati da codesta Ecc.ma Corte costituzionale) a nulla vale se le maggiori somme non possono poi essere concretamente impiegate attraverso gli impegni di spesa e la liquidazione dei pagamenti necessari allo svolgimento delle funzioni assegnate alla Regione. Di conseguenza, la legge gravata lede, per un ulteriore profilo, anche l'autonomia finanziaria della Regione e, pertanto, viola l'art. 7 dello Statuto e l'art. 119 Cost. Similmente, sono novellamente violati anche gli artt. 3, 4 e 5 dello Statuto e 117 Cost., perche' l'impossibilita' di effettivo impiego delle somme stanziate dallo Stato impedisce alla Regione di finanziare le funzioni pubbliche assegnate dallo Statuto, dalla Costituzione, dalle leggi dello Stato. Tanto, con la conseguenza della violazione degli artt, 2 e 3 Cost., perche' i diritti costituzionali dei cittadini residenti in Sardegna possono essere concretamente goduti, in condizioni di parita' con tutti gli altri cittadini italiani, solo se la Regione puo' svolgere le funzioni pubbliche assegnatele dalla Costituzione, dallo Statuto e dalla legge (si pensi, in primo luogo, al finanziamento del sistema sanitario regionale, che, ai sensi dell'art. 1, comma 836, della l. n. 296 del 2006, e' - si ripete - completamente a carico della Regione). L'art. 3 Cost., a sua volta, e' ulteriormente violato perche' i sacrifici imposti alla Regione Sardegna (e che questa, si ripete, accetta - in principio - pienamente) avrebbero dovuto essere parametrati alle disponibilita' finanziarie aggiornate a seguito dell'esecuzione dell'art. 8 dello Statuto e non avrebbero potuto rimanere "congelati" ad un livello che quell'esecuzione non contemplava. 2.6.- Si e' detto sopra (sub par. 2.3.) che il mancato adeguamento del patto di stabilita' regionale appare illegittimo, irragionevole e arbitrario perche' determina per la Sardegna l'impossibilita' di esercitare le attribuzioni confidate dalla Costituzione, dallo Statuto, dalla legge. 2.6.1.- Che sia cosi' e' comprovato dalle limpide statuizioni rese dalla Corte dei conti, Sez. riun. Sardegna, in sede di parificazione del bilancio 2012 (Decisione 12 luglio 2013, n. 1/2013/SS.RR./PARI e relativi allegati) e dai dati sull'economia regionale su cui tale pronuncia si fonda. Nella Decisione le Sezioni riunite regionali "ribadiscono quanto gia' affermato con riferimento al rendiconto dell'esercizio 2011, ossia l'opportunita' che le regole del patto siano allineate alla maggiorazione delle entrate, ormai a regime dal 1° gennaio 2010, affinche' si tenga conto dei canoni di equilibrio di bilancio, nell'osservanza dei principi affermati dalla Corte costituzionale (sentenza n. 118 del 7 maggio 2012)" e "Auspicano che cio' avvenga senza ulteriori ritardi". La condizione delle finanze regionali, si legge sempre nella Decisione menzionata, ha comportato che "la Regione anche nel 2012 non ha contratto mutui" (strumenti che sono essenziali per finanziare la spesa per investimenti da parte della Regione). Nella Nota Introduttiva del presidente della Sez. reg. Controllo, allegata alla menzionata Decisione, si legge che "La spesa [...], a causa del mancato adeguamento del patto di stabilita' al diverso regime delle entrate, ha continuato ad essere soggetta ai rigorosi limiti precedentemente stabiliti", comportando i "negativi effetti registrati sulla gestione nel 2012" che "potrebbero evidenziarsi anche per il corrente esercizio, a meno che non si pervenga celermente alla stipula di un piu' favorevole patto di stabilita' per la Sardegna", anche perche' "la Regione si e' fatta carico delle spese sanitarie, delle spese per il trasporto pubblico locale e di quelle relative alle misure di continuita' territoriale, secondo il disposto della richiamata legge finanziaria per il 2007, che ha modificato l'articolo 8 dello Statuto regionale". Le parole ora menzionate sono chiarissime: a seguito di una riforma che doveva portare maggiori risorse nelle casse regionali (e, conseguentemente, consentirne l'utilizzo), la Regione si trova gravata di maggiori oneri, ma senza avere a disposizione nuova capacita' di spesa. Con le parole della Requisitoria del procuratore regionale allegata alla citata Decisione di parificazione del bilancio regionale 2012, si puo' ben dire che "il novellato art. 8, pur di immediata applicazione in virtu' dell'automatismo operante sulla base dell'art. 54, ultimo comma dello Statuto, avrebbe dovuto dispiegare i suoi effetti a partire dal 2010, ma ha avuto piena attuazione esclusivamente per quanto attiene all'imputazione delle nuove spese a carico del bilancio regionale". Tale circostanza determina, di fatto, la soppressione dell'autonomia regionale. Come ha affermato il Procuratore regionale della Corte dei conti, "la specialita' autonomistica si impernia necessariamente sull'autonomia finanziaria che, a sua volta, si esplicita in una manovra strutturata di bilancio, solo se in grado di contare su risorse riconosciute e certe nella loro quantificazione, da poter impiegare attraverso il superamento degli attuali vincoli imposti dal patto di stabilita'". Ma non finisce qui. E' importante osservare l'effetto che il mancato adeguamento del patto di stabilita' ha determinato sui residui passivi, ossia sulle conseguenze contabili dei debiti che la Regione Sardegna non riesce ad onorare per non superare la soglia dei limiti ai pagamenti. Nella Relazione allegata alla Decisione sulla parificazione del bilancio 2012 si osserva che, "se si ha riguardo alle dinamiche di formazione dei residui passivi, si osserva che l'indice di smaltimento dei residui passivi, ovvero il rapporto tra gli «strumenti» di eliminazione dei residui passivi, rappresentati dai pagamenti e dalle perenzioni e/o economie di spesa e i residui passivi a inizio esercizio, evidenzia una diminuzione della percentuale di residui eliminata per intervenute perenzioni ed economie, non accompagnata, pero', da un corrispondente aumento percentuale dei pagamenti sui residui, dovuto prevalentemente ai vincoli imposti dal patto di stabilita'". Cifre alla mano, la Relazione espone che: - "Dal rendiconto generale della Regione si rileva che i residui passivi al l° gennaio 2012 ammontavano complessivamente a 6.182.595.211,72 euro"; - "Nel corso del 2012 tale cifra iniziale si e' ridotta di 520.861.385,02 euro per effetto di economie e perenzioni, mentre i pagamenti in conto residui ammontano a 1.792.452.448,04 euro. Di conseguenza, a fine 2012, si registra una diminuzione dei residui provenienti dagli esercizi precedenti del 37,42%, pari, in termini assoluti, a 2.313.313.833,06 euro tanto significa che la Regione ha condotto un considerevole sforzo di ammortamento dei residui precedenti all'anno 2012"; - di conseguenza, "al 31 dicembre 2012 si registrano residui passivi, provenienti dalle gestioni passate, pari a 3.869.281.378,66 euro", cifra ben minore dei 6.182.595.211,72 di inizio anno; - "A tale cifra", pero', "si aggiungono i residui provenienti dalla gestione di competenza [2012], che risultano complessivamente pari a 2.158.634.282,44 euro", cifra particolarmente alta, che pone nel nulla tutti gli sforzi fatti dalla Regione per abbattere il pregresso; - Cio' e' tanto vero che "il totale dei residui al 31 dicembre 2012 ammonta quindi a 6.027.915.661,10, con una diminuzione del 2,50% rispetto allo stesso periodo dell'esercizio precedente". In definitiva, € 1.800.000 di pagamenti in conto residui precedenti al 2012 e 520.861.385,02 di economie e perenzioni hanno potuto migliorare la gestione dei residui per solo il 2.5% dello stock del debito regionale, perche' sono stati pressocche' interamente compensati dagli effetti del mancato adeguamento del patto di stabilita' regionale. Non basta ancora. Sempre dalla menzionata Relazione si evince che l'ammontare dei residui passivi e' aumentato in maniera vertiginosa proprio a partire dal 2010, anno in cui la riforma della finanza regionale e' entrata a vigore solo per le parti che comportavano maggiori oneri a carico della Regione. In particolare: - nell'anno 2010 sono maturati residui passivi per € 534.732,82; - nell'anno successivo i debiti inevasi sono stati pari a € 1.087.216,46 (piu' del doppio rispetto al 2010); - infine, per il bilancio 2012 l'ammontare dei residui passivi e' pari a € 2.158.634,27 (circa il doppio rispetto al 2011, il quadruplo rispetto al 2010; si ribadisce che i dati riportati sono certamente affidabili, perche' certificati dalla citata Relazione per il giudizio di parifica). Ecco come spiega l'andamento dei residui passivi la menzionata Relazione: "Se si ha riguardo alle dinamiche di formazione dei residui passivi, si osserva che l'indice di smaltimento dei residui passivi, ovvero il rapporto tra gli «strumenti» di eliminazione dei residui passivi, rappresentati dai pagamenti e dalle perenzioni e/o economie di spesa e i residui passivi a inizio esercizio, evidenzia una diminuzione della percentuale di residui eliminata per intervenute perenzioni ed economie, non accompagnata, pero', da un corrispondente aumento percentuale dei pagamenti sui residui, dovuto prevalentemente ai vincoli imposti dal patto di stabilita'". Come si vede, il mancato adeguamento del patto di stabilita' comporta l'insostenibilita', per la Regione Sardegna, della gestione della finanza regionale e l'impossibilita' di esercitare le funzioni pubbliche assegnate dallo Statuto e dalla Costituzione. 2.6.2.- Tale condizione e' insostenibile. L'enorme ammontare di residui passivi dimostra che la Regione non e' in grado di assolvere alle funzioni che le spettano. Si registra, pertanto, l'impossibilita' di svolgere le funzioni pubbliche confidate alla ricorrente. Tale condizione e' stata qui descritta nella prospettiva del patto di stabilita', specificamente rilevante per il presente motivo di ricorso, nonche' per il successivo motivo n. 5, con cui si denuncia l'illegittimita' costituzionale del comma 499 dell'art. 1 della l. n. 47 del 2013, per motivi analoghi a quelli sinora prospettati. Si deve, pero', considerare che l'insostenibilita' dell'attuale patto di stabilita' rileva anche nell'impugnazione degli altri commi dell'art. 1 della l. n. 147 del 2013 oggetto del presente giudizio, che, come si vedra', impongono alla Sardegna ulteriori misure restrittive direttamente incidenti sulla finanza regionale, attraverso l'imposizione di contributi straordinari di finanza pubblica e dei relativi accantonamenti in capo alla ricorrente (commi 429, 511, 526 e 527), nonche' attraverso la riserva all'erario (commi 508 e - per un diverso profilo - 527) o la rimodulazione di imposte compartecipate dalla Regione (comma 142). Questo perche', come e' stato rilevato nella sent. n. 118 del 2012 da codesta Ecc.ma Corte costituzionale, questi strumenti di governo della finanza pubblica sono di per se' idonei a restringere lo "spazio finanziario" all'interno del quale Stato e Regione debbono definire il contenuto del patto di stabilita'. In altri termini: l'imposizione di un contributo di finanza pubblica o l'istituzione di una riserva erariale o, ancora, la rimodulazione di un'imposta compartecipata che non sia "a saldo zero" per la Regione ha immediati effetti riduttivi della capacita' di spesa della ricorrente. Tali misure restrittive, dunque, aggravano quella condizione economico-finanziaria della Regione che e' gia' insostenibile. Nei successivi motivi di ricorso, a sostegno delle censure proposte, per brevita' d'esposizione e in ossequio al principio di sinteticita' degli atti processuali ci si limitera', dunque, a richiamare quanto affermato nei precedenti paragrafi, a dimostrazione della "non sopportabilita'" delle misure restrittive disposte dallo Stato. 3.- Illegittimita' costituzionale del comma 142 dell'art. 1 della l. 24 dicembre 2013, n. 147. Il comma 142 dell'art. 1 della l. n. 147 del 2013 dispone che "il saldo attivo della rivalutazione [dei beni d'impresa e delle partecipazioni societarie delle imprese commerciali] puo' essere affrancato, in tutto o in parte, con l'applicazione in capo alla societa' di un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, dell'imposta regionale sulle attivita' produttive e di eventuali addizionali nella misura del 10 per cento da versare con le modalita' indicate al comma 145". Con il comma in esame il legislatore statale ha modificato le forme d'imposizione fiscale sulla rivalutazione, nei bilanci delle imprese commerciali, dei beni d'impresa e delle altre partecipazioni societarie, prevedendo, come s'e' visto, un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, dell'IRAP, delle addizionali (anche regionali e comunali), pari al 10% del saldo della rivalutazione. La modificazione dell'imposizione e' lesiva dell'autonomia finanziaria regionale, poiche' il risultato dell'operazione fiscale sopra descritta non rispetta il criterio dell'equilibrio finanziario, che deve ispirare le modificazioni del sistema fiscale che producono effetti sulle entrate regionali. E' facile constatare che, ai sensi del comma 142 dell'art. 1 della legge impugnata, viene sostituita una forma di imposizione fiscale cosi' costituita: - imposta sui redditi, che spetta alla Regione per i sette decimi; - IRAP, che spetta alla Regione per intero; - addizionale regionale, che spetta alla Regione per intero. Al posto di questa combinazione di prelievo fiscale, viene instituita un'imposta sostitutiva che e' partecipata dalla Regione per i sette decimi, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. m), dello Statuto, sardo, con evidente deminutio per le casse della ricorrente e conseguente violazione dell'autonomia finanziaria della stessa, tutelata dagli artt. 7 e 8 dello Statuto. 3.1.- La ricorrente non ignora l'orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui, "a seguito di interventi del legislatore statale, possono aversi, senza violazione costituzionale, anche riduzioni di risorse per la Regione, purche' non tali da rendere impossibile lo svolgimento delle sue funzioni" (cosi', per tutte, la sent. n. 138 del 1999). Peculiare, pero', e' il caso della Regione Sardegna. Come si e' visto sub par. 2, il legislatore statale ha, di fatto e di diritto, riconosciuto l'insufficienza delle risorse regionali attraverso la riforma dell'art. 8 dello Statuto. Si e' gia' accennato che tale riforma era stata invocata proprio dal Ragioniere Generale dello Stato, come dimostra il carteggio intervenuto tra la Ragioneria e la Regione ricorrente tra l'agosto e il settembre del 2005, relativamente alla misura delle entrate di maggiore rilevanza per le finanze regionali: la compartecipazione all'imposta sul reddito e la compartecipazione all'I.V.A. Con nota del 3 agosto 2005, prot. n. 0102482, il Ragioniere Generale rappresentava di aver presentato una proposta di quantificazione delle quote di compartecipazione I.V.A. "nell'attesa che si proceda alla revisione dell'ordinamento finanziario che consenta di trasformare la compartecipazione IVA da quota variabile a quota fissa", e che tale proposta era stata predisposta "abbandonando [...] il criterio incrementale del tasso di inflazione che, comportando nel tempo la progressiva svalutazione in termini reali del cespite regionale, ha di fatto svilito lo strumento di garanzia previsto dallo Statuto, che mirava a consentire il tempestivo adeguamento delle entrate regionali alle mutevoli necessita' di spesa derivanti dall'espletamento delle funzioni normali della Regione". Con nota del 2 settembre 2005, prot. n. 0112371, ancora il Ragioniere Generale rappresentava che "il gettito IRPEF regionale [...] registra una crescita, nell'arco temporale considerato [1991-2003], pari all'1,9%, avallando, pertanto, la tesi della Regione circa l'anomalo trend dell'IRPEF regionale rispetto a quello nazionale". Ad oggi, pero', dopo piu' di tre anni dalla data prevista di entrata a regime del nuovo sistema delle entrate regionali, la Sardegna ancora attende che lo Stato dia compiuta e integrale esecuzione alla riforma del 2006. Questa situazione, dunque, dimostra per tabulas l'insufficienza delle risorse disponibili per la Regione e, di conseguenza, dimostra l'immediata lesivita' di ogni manovra fiscale del legislatore statale che possa deprimere le disponibilita' finanziarie regionali. 3.2.- Si aggiunga, inoltre, che: - codesta Ecc.ma Corte, nella sent. n. 95 del 2013, ha riconosciuto che l'inerzia dello Stato nel dare esecuzione alle previsioni di cui all'art. 8 dello Statuto speciale sta generando una vera "emergenza finanziaria"; - nella stessa sent. n. 95 del 2013 si' e' ricordato che "negli anni seguenti alla novella legislativa del 2006, le nuove previsioni hanno ricevuto puntuale attuazione sul versante delle spese, con la conseguenza che, a decorrere dalla scadenza del periodo transitorio (2009), gli oneri relativi alla sanita', al trasporto pubblico locale e alla continuita' territoriale sono venuti a gravare sul bilancio della Regione Sardegna", mentre "sul fronte delle entrate [...] lo Stato non ha trasferito alla Regione le risorse corrispondenti alle maggiori compartecipazioni al gettito dei tributi erariali, cosi' come previsto dall'art. 8 dello statuto". - la Corte dei conti, Sez. controllo per la Regione Sardegna, nei giudizio di parificazione del bilancio regionale per l'esercizio 2011, ha affermato che "la gestione del bilancio regionale e' stata pesantemente condizionata dal quadro di rigidita' costituito dalla mancata soluzione della vertenza «entrate» e dall'immobilismo dei vincoli imposti da: patto di stabilita', che hanno cristallizzato l'intero quadro di riferimento finanziario alle disponibilita' del 2005" (anno in cui si sono svolte le interlocuzioni sopra menzionate tra Ragioneria Generale dello Stato e Regione sull'insufficienza delle risorse regionali); - a questo proposito ancora in sede di parificazione del bilancio, ma per il 2011 (e stavolta nella Requisitoria del Procuratore regionale) la Corte dei conti ha inteso "rinnovare l'auspicio, gia' espresso in occasione del referto sul rendiconto 2010, che le problematiche connesse al regime di compartecipazione al gettito dei tributi erariali siano risolte al piu' presto, ora anche avuto riguardo al contenuto delle sentenze della Corte costituzionale intervenute nei mesi scorsi", in quanto, "fra le fonti di finanziamento della spesa, il maggiore gettito deriva dalla compartecipazione ai tributi erariali, e cio' in particolare in seguito al venir meno dei trasferimenti statali afferenti alla sanita' (art. 1, comma 836, legge 296/2006), dal 2007 ,finanziata totalmente dalla Regione, senza alcun apporto statale". In conclusione, l'illegittimo depauperamento delle entrate regionali e' evidente e dovra' - si confida - essere sanzionato da codesta Ecc.ma Corte costituzionale, proprio perche', nel peculiare caso della Sardegna, la riduzione delle risorse regionali risulta illegittima in ragione da inequivoci (e dallo Stato riconosciuti) dati di fatto e di diritto. 4.- Illegittimita' costituzionale del comma 429 dell'art. 1 della l. 24 dicembre 2013, n. 147. Il comma 429 dell'art. 1 della legge impugnata dispone quanto segue: "a seguito delle misure di cui al comma 427, per gli anni 2015, 2016 e 2017 le regioni e le province autonome, a valere sui risparmi connessi alle predette misure, assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a complessivi 344 milioni di euro, mediante gli importi di cui ai commi 449-bis e 454 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, come modificato dai commi 497 e 499 del presente articolo. Parimenti, per gli anni 2016 e 2017 gli enti locali, mediante le percentuali recate ai commi 2 e 6 dell'articolo 31 della legge 12 novembre 2011, n. 183, come modificate dai commi 532 e 534 del presente articolo, assicurano un contributo di 275 milioni di euro annui per i comuni e di 69 milioni di euro annui per le province". Il comma in esame pone un nuovo contributo di finanza pubblica in capo alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano. Questo nuovo e ulteriore contributo di finanza pubblica e' illegittimo e lesivo dell'autonomia finanziaria della ricorrente, come tutelata dagli artt. 7 e 8 dello Statuto, nonche' violativo del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. Il contributo di finanza pubblica imposto col comma in esame, infatti, impone misure restrittive in capo alle Regioni (e in particolare alla Sardegna), indubbiamente eccessive tenuto conto della concreta situazione finanziaria degli enti e della loro capacita' fiscale. 4.1.- Tale assunto poggia su due ordini di considerazioni. Il primo e' di ordine generale, in quanto concerne la posizione di tutte le Regioni ad autonomia speciale. Esse, infatti, sono state nel tempo sottoposte ad una serie sempre crescente di contributi di finanza pubblica. Senza pretesa di esaustivita', si deve segnalare che: - l'art. 20, comma 5, del d. l. n. 98 del 2011, che ha imposto un contributo di finanza pubblica per "le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano per 1.000 milioni di euro per l'anno 2013 e per 2.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014". - l'art. 1, comma 8, del d. l. n. 138 del 2011 ha aumentato il contributo a "2.000 milioni di euro [gia'] a decorrere dall'anno 2012"; - l'art. 28, comma 3, del d. l. n. 201 del 2012 ha imposto contributi a carico del comparto delle autonomie speciali pari a 860 milioni di Euro l'anno; - l'art. 35, comma 4, del d. l. n. 1 del 2012 ha aumentato il contributo di cui all'art. 28, comma 3, di ulteriori 235 milioni di Euro; - l'art. 15, comma 22, del d. l. n. 95 del 2012 ha imposto un ulteriore contributo pari a "900 milioni di euro per l'anno 2012, di 1.800 milioni di euro per l'anno 2013 e di 2.000 milioni di euro per l'anno 2014 e 2.100 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015", posto in capo a tutte le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano; l'art. 16, comma 3, del d. l. n. 95 del 2012 ha imposto, nuovamente alle sole "Regioni a statuto speciale e Province autonome di Trento e Bolzano assicurano un concorso alla finanza pubblica per l'importo complessivo di 600 milioni di euro per l'anno 2012, 1.200 milioni di euro per l'anno 2013 e 1.500 milioni di euro per l'anno 2014 e 1.575 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015". A queste previsioni, poi, debbono aggiungersi le innumerevoli misure restrittive alla spesa di tutte le Regioni, disseminate nei decreti legge recanti le manovre correttive di finanza pubblica (d. l. n. 112 del 2008; d. l. n. 78 del 2009; d. l. n. 78 del 2010; d. l. n. 98 del 2011; d. l. n. 138 del 2011; d. l. n. 95 del 2012; d. l. n. 1 del 2012, etc.). Il secondo ordine di considerazioni concerne la specifica situazione della Regione Sardegna. Per non tediare l'Ecc.ma Corte, e' sufficiente rinviare a quanto gia' detto nei precedenti motivi di ricorso (sub 2. e sub 3), al fine di dimostrare che la Regione soffre un pregiudizio finanziario insostenibile a causa dell'inadeguatezza del previgente regime delle entrate erariali e a causa dell'inerzia dello Stato nel dare completa esecuzione alle previsioni del nuovo regime delle entrate, di cui al novellato art. 8 dello Statuto. 4.2.- Se alle misure restrittive gia' disposte in precedenza si aggiungono, oggi, i 344 milioni di euro di contributo di finanza pubblica posto dal comma qui in esame, appare evidente il denunciato vulnus all'autonomia finanziaria regionale. La ricorrente non ignora che, secondo la giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte costituzionale, l'imposizione alle Regioni di contenimenti "transitori" delle spese non contrasta, di per se', con la Costituzione e con le attribuzioni statutarie delle autonomie speciali. D'altra parte, tuttavia, la giurisprudenza costituzionale insegna pure che il detto vulnus all'autonomia finanziaria delle Regioni deve essere apprezzato attraverso la valutazione della complessiva disponibilita' di risorse per l'assicurazione dei fini istituzionali confidati alle Regioni, sicche' l'illegittimita' di singole disposizioni, come quella impugnata, appare evidente se misurata nei piu' ampio contesto degli interventi legislativi che pregiudicano, tutte insieme, l'autonomia finanziaria regionale, gia' sofferente (cfr. sentt. nn. 284 del 2009, 326 del 2010, 232 del 2011, 148 del 2012). 4.3. Quanto osservato per i vincoli alla finanza regionale vale - ovviamente - anche per i limiti all'autonomia finanziaria degli enti territoriali, anch'essi colpiti dall'ultimo periodo del comma in esame. A tal proposito basti qui osservare che: - il comparto degli enti territoriali (comuni e province) e' stato soggetto a prelievi analoghi a quelli che hanno colpito le Regioni (cfr., per tutti, gli artt. 20 del d. l. n. 98 del 2011 e 28 del d. l. n. 201 del 2011); - per le ragioni gia' indicate circa la storia recente dell'autonomia finanziaria regionale sarda, particolarmente vessati dalle manovre di finanza pubblica sono gli enti locali sardi; - la lesione all'autonomia finanziaria degli enti territoriali ridonda nella lesione di quella regionale, dato che la Regione e' chiamata ad integrare le dotazioni finanziarie degli enti locali o a svolgere le funzioni pubbliche da questi non piu' gestibili. Si deve, poi, considerare che la "materia della finanza locale, per la Regione sarda, e' devoluta alla competenza legislativa esclusiva della Regione in forza dell'art. 3, lettera b), del relativo statuto speciale" (Corte cost., sent. n. 275 del 2007). Di conseguenza, l'illegittima e arbitraria imposizione di misure restrittive in danno degli enti locali sardi si risolve nell'indebita violazione della competenza legislativa esclusiva della ricorrente nelle materie "finanza locale" e "ordinamento degli enti locali", attribuita alla Regione dell'art. 3, comma 1, lett. b), dello Statuto. Anche l'ultimo periodo del comma in esame, dunque, deve essere annullato da codesta Ecc.ma Corte costituzionale. 4.4.- Codesta Ecc.ma Corte costituzionale, come si e' accennato, ha sovente affermato che lo Stato non puo' imporre alle Regioni misure restrittive con durata illimitata nel tempo, pena l'illegittima lesione dell'autonomia finanziaria delle Regioni medesime. Nella sent. n. 82 del 2007 e' stato afferrato che le "limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti" possono darsi solamente "in via transitoria e in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale", mentre sono illegittime le misure restrittive poste a tempo indeterminato. Nella sent. n. 193 del 2012, poi, codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha ricordato che "possono essere ritenute principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., le norme che «si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (sentenza n. 148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011 e n. 326 del 2010)". A questo proposito, se e' vero che il contributo di finanza pubblica richiesto dal comma in esame e' limitato ad un triennio (ma, si badi, anche il 2014 e' inciso dalla legge impugnata, come dimostra il comma 526, del quale si dice appresso, sub par. 7), deve anche considerarsi che, come esposto supra, sub par. 4.2., le Regioni sono sottoposte da diversi anni (almeno dal 2010) a contributi di finanza pubblica sempre crescenti (alcuni dei quali, per inciso, non hanno limiti di tempo, ma sono imposti con una durata indefinita). Di fatto, dunque, anche l'imposizione in esame puo' essere considerata come parte di un contributo di finanza pubblica che e' circoscritto nel tempo solo apparentemente, ma in realta' elude il divieto di temporaneita' delle misure restrittive di finanza pubblica. Di conseguenza, il comma in esame e' anch'esso illegittimo, per violazione degli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 Cost., che tutelano l'autonomia finanziaria della ricorrente. 4.5.- Infine, anche il comma qui in esame risulta violativo dell'art. 81 Cost. Attraverso l'imposizione di continui, ripetuti e di fatto indefiniti contributi di finanza pubblica in capo alle Regioni, lo Stato viene ad eludere il principio di equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci pubblici (art. 81, comma 1, Cost.). Lo Stato, infatti, ottiene l'equilibrio finanziario a copertura delle sue spese solo attraverso un sostanzioso finanziamento ottenuto forzosamente dalle Regioni. Inoltre, l'imposizione di continui contributi finanziari in capo alle Regioni determina anche l'elusione del principio di effettiva copertura delle spese (art. 81, comma 3, Cost.) disposte dal legislatore, copertura che viene disposta solo formalmente, mentre sono le Regioni che finanziano gli interventi statali disposti dalla legge impugnata. 5.- Illegittimita' costituzionale del comma 499 dell'art. 1 della l. 24 dicembre 2013, n. 147. Il comma in esame ha novellato l'art. 1, comma 454, della l. n. 228 del 2012 (legge di stabilita' per il 2013). Il tenore testuale della disposizione impugnata e' il seguente: "Al comma 454 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo periodo, la parola: «2016» e' sostituita dalla seguente: «2017» e le parole: «di competenza finanziaria e» sono soppresse; b) al primo periodo, la lettera d) e' sostituita dalla seguente: «d) degli importi indicati nella seguente tabella: ================================================================= | Regione o Provincia | | (in milioni di | | autonoma | Importo | euro) | +===========================+===============+===================+ | | Anno 2014 | Anni 2015-2017 | +---------------------------+---------------+-------------------+ | Trentino-Alto Adige | 2 | 3 | +---------------------------+---------------+-------------------+ |Provincia autonoma Bolzano | 26 | 35 | +---------------------------+---------------+-------------------+ | Provincia autonoma Trento | 25 | 34 | +---------------------------+---------------+-------------------+ | Friuli- Venezia Giulia | 56 | 75 | +---------------------------+---------------+-------------------+ | Valle d'Aosta | 7 | 9 | +---------------------------+---------------+-------------------+ | Sicilia | 133 | 178 | +---------------------------+---------------+-------------------+ | Sardegna | 51 | 69 | +---------------------------+---------------+-------------------+ | Totale RSS | 300 | 403 | +---------------------------+---------------+-------------------+ c) al primo periodo, dopo la lettera d) e' inserita la seguente: «d-bis) degli ulteriori contributi disposti a carico delle autonomie speciali»; d) al secondo periodo, le parole da: «Il complesso delle spese finali» fino a: «ai sensi del presente comma» sono soppresse". Per comprendere i profili d'illegittimita' del comma in esame e' necessario riportare la precedente versione del comma 454 dell'art. 1 della l. n. 228 del 2012, prima della novellazione apportata dalla legge qui impugnata. Esso prevedeva che le Regioni a statuto speciale concordano "l'obiettivo in termini di competenza finanziaria e di competenza eurocompatibile [ossia il contenuto dell'accordo sul patto di stabilita' interno], determinato riducendo il complesso delle spese finali in termini di competenza eurocompatibile risultante dal consuntivo 2011: a) degli importi indicati per il 2013 nella tabella di cui all'articolo 32, comma 10, della legge 12 novembre 2011, n. 183; b) del contributo previsto dall'articolo 28, comma 3, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 [...] come rideterminato dall'articolo 35, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 [...] e dall'articolo 4, comma 11, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 [...] c) degli importi indicati nel decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, relativi al 2013, 2014, 2015 e 2016, emanato in attuazione dell'articolo 16, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 [...] d) degli ulteriori contributi disposti a carico delle autonomie speciali". Gli effetti della novellazione recata dalla l. n. 147 del 2013 sono presto detti: i margini disponibili per le Autonomie speciali e per il MEF per determinare il contenuto dell'accordo sul patto di stabilita' interno si riducono ulteriormente, stante l'imposizione di nuovi, maggiori oneri di finanza pubblica a carico delle Regioni e delle Province Autonome (per la Sardegna: ulteriori 51 milioni di Euro per il 2014, che diventano 69 per il triennio successivo). 5.1.- Cio' considerato, il comma in esame risulta illegittimo per due ordini di profili, separati ma connessi. In primo luogo, debbono essere qui rinnovate le censure mosse al comma 122 dell'art. 1 della legge impugnata (cfr. par. 2.5., che qui, per ragioni di economia processuale, interamente si richiama): la modificazione (peraltro peggiorativa per gli interessi della ricorrente) della regolamentazione del patto di stabilita' interno doveva accompagnarsi allo (anzi, doveva essere preceduta dallo) adeguamento del patto di stabilita' per la Regione Sardegna alla riforma delle entrate regionali intervenuta con la modifica dell'art. 8 dello Statuto. Non avendo cosi' operato, lo Stato ha violato gli artt. 7 e 8 dello Statuto sardo, che tutelano l'autonomia finanziaria regionale attraverso il riconoscimento della disponibilita' delle quote di compartecipazione alle entrate erariali, nonche' l'art. 119 Cost., che riconosce l'autonomia finanziaria delle Regioni. L'art. 8 dello Statuto, infatti, e' stato novellato al fine di rimediare alle evidenti carenze della finanza regionale, riscontrate in primo luogo proprio dalla Ragioneria Generale dello Stato. Stante la pervicace inerzia dello Stato nel negare alla Regione la possibilita' di utilizzo delle risorse (anche, ma non solo, in termini di espansione della capacita' di spesa regionale), l'ulteriore irrigidimento della finanza regionale (sia per il tramite delle regole del patto di stabilita' che attraverso ulteriori contributi di finanza pubblica) si risolve in una evidente e grave violazione dell'autonomia finanziaria della Regione ricorrente. Inoltre, come gia' si e' detto in precedenza (specie sub par. 2 e sub par. 3) l'indisponibilita' dei fondi spettanti alla Regione ai sensi dell'art. 8 dello Statuto rende impossibile o eccessivamente oneroso per la Regione lo svolgimento delle funzioni pubbliche e dei servizi (anche essenziali, come quelli sanitari) assegnatile dalla Costituzione (artt. 117 e 119 Cost.), dallo Statuto (artt. 3, 4, 5 e 6), dalle leggi dello Stato (per tutte valga il riferimento ai commi 836 sgg. dell'art. 1 della l. n. 296 del 2006, che hanno operato gli ultimi - in ordine di tempo - trasferimenti di funzioni a carico del bilancio regionale). Di conseguenza anche quei parametri (artt. 3, 4, 5 e 6 dello Statuto e 117 Cost.) sono tutti violati dal comma impugnato. Infine e' violato anche l'art. 81 Cost. perche' l'impossibilita' di utilizzare le anzidette risorse per lo svolgimento delle funzioni pubbliche confidate alla Regione determina - come gia' si e' detto - l'incontrollato accumularsi di avanzi di bilancio (dovuti al blocco degli impegni di spesa) e di ingenti residui passivi (dovuti al blocco dei pagamenti regionali), sicche', a causa del mancato adeguamento del patto di stabilita' regionale, il bilancio della Sardegna anno per anno si allontana dal principio di veridicita'. 5.2.- In secondo luogo, si deve tenere in debito conto il fatto che, come gia' osservato sopra, la nuova disciplina del patto di stabilita' e' peggiorativa per le gia' depresse finanze regionali. Anche in questo caso, dunque, e' necessario rilevare che l'imposizione di nuovi oneri in capo alla ricorrente, a fronte dei gia' vigenti contributi di finanza pubblica e della particolare situazione finanziaria della Regione Sardegna, che ancora attende la compiuta esecuzione del novellato art. 8 dello Statuto, appare un'arbitraria e irragionevole compressione dell'autonomia finanziaria regionale. Tanto si risolve, ancora una volta, nella violazione degli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 Cost., anche in relazione al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. Inoltre, si deve nuovamente denunciare la violazione dell'art. 81 Cost., ma per un ulteriore profilo. Come gia' si e' detto in precedenza, attraverso l'imposizione di continui, ripetuti e di fatto indefiniti contributi di finanza pubblica in capo alle Regioni, lo Stato viene ad eludere il principio di equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci pubblici (art. 81, comma 1, Cost.). Lo Stato, infatti, ottiene l'equilibrio finanziario a copertura delle sue spese solo attraverso un sostanzioso finanziamento ottenuto forzosamente dalle Regioni. Inoltre, l'imposizione di continui contributi finanziari in capo alle Regioni determina anche l'elusione del principio di effettiva copertura delle spese (art. 81, comma 3, Cost.) disposte dal legislatore, copertura che viene disposta solo formalmente, mentre sono le Regioni che finanziano gli interventi statali disposti dalla legge impugnata. 6.- Illegittimita' costituzionale del comma 508 dell'art. 1 della l. 24 dicembre 2013, n. 147. Il comma 508 dell'art. 1 della legge impugnata prevede che, "al fine di assicurare il concorso delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano all'equilibrio dei bilanci e alla sostenibilita' del debito pubblico, in attuazione dell'articolo 97, primo comma, della Costituzione, le nuove e maggiori entrate erariali derivanti dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, e dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, sono riservate all'Erario, per un periodo di cinque anni a decorrere dal 1° gennaio 2014, per essere interamente destinate alla copertura degli oneri per servizio del debito pubblico, al fine di garantire la riduzione del debito pubblico stesso nella misura e nei tempi stabiliti dal Trattato sulla stabilita', sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria, fatto a Bruxelles il 2 marzo 2012, ratificato ai sensi della legge 23 luglio 2012, n. 114. Con apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, sentiti i Presidenti delle giunte regionali interessati, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso separata contabilizzazione". Il comma riportato riserva all'erario, per un periodo di cinque anni, le maggiori entrate derivanti dall'applicazione delle manovre di finanza pubblica dell'agosto e del dicembre del 2011. 6.1.- In questo modo, le disposizioni censurate acquisiscono alla disponibilita' dello Stato maggiori entrate che dovrebbero essere di sicura spettanza regionale, quanto meno in notevole misura, in ragion del regime di compartecipazione alle entrate di cui all'art. 8 dello Statuto sardo. Quanto al d. l. n. 201 del 2011, solo a titolo di esempio, sono maggiori entrate compartecipate dalla ricorrente quelle derivanti: i) dall'esclusione e/o rimodulazione del credito d'imposta per le societa' commerciali (art. 9); dall'emersione di "base imponibile" per le attivita' soggette a IVA (art. 10, commi da 1 a 7 e da 9 a 13, e art. 11); iii) dall'applicazione di misure sanzionatone per il recupero di crediti non versati al fisco (art. 10, commi 8, 13-quater, 13-decies, lett. b), e c)); iv) dalla rimodulazione delle aliquote sulle accise per gli idrocarburi (art. 15); vi) dalle disposizioni per la tassazione di auto di lusso, imbarcazioni ed aerei (art. 16); vii) dall'aumento delle aliquote IVA (art. 18); viii) dalle disposizioni in materia di imposta di bollo su conti correnti, titoli, strumenti e prodotti finanziari nonche' sui valori c.d. "scudati" e sulle attivita' finanziarie e immobiliari detenute all'estero (art. 19). Quanto al d. l. n. 138 del 2011, l'art. 2 determina maggiori entrate soggette a regime di compartecipazione in virtu' delle seguenti misure fiscali: i) introduzione di un contributo di solidarieta' sui redditi eccedenti € 300.000,00; incremento dell'I.V.A.; introduzione di nuove forme di giochi pubblici e lotterie istantanee; recupero dell'evasione fiscale; aumento delle aliquote sui redditi da capitale. Maggiori entrate sono dovute anche dall'anticipazione delle riduzioni di alcune esenzioni fiscali, di cui all'art. 1, comma 6, del d. l. n. 138 del 2011. Cio' considerato, la disposizione in esame e' violativa dell'art. 8 dello Statuto, perche' il legislatore statale non puo', in assenza di disposizioni statutarie che consentano l'istituzione di riserve erariali, escludere la ricorrente dalla compartecipazione alle entrate erariali che le spetta ai sensi dell'art. 8 dello Statuto. Di conseguenza, e' violato anche l'art. 7 dello Statuto, che riconosce e tutela l'autonomia finanziaria della Regione ricorrente, compromessa dalla sottrazione delle risorse spettanti alla Regione in forza di una precisa clausola statutaria. 6.2.- La questione della riserva all'erario delle maggiori entrate derivanti dal recupero dell'evasione fiscale e' stata scrutinata nella recente sent. n. 241 del 2012. In quel caso la Regione Sardegna, ricorrente ora come allora, aveva impugnato proprio l'art. 2, comma 36, del d. l. n. 138 del 2011, che gia' riservava allo Stato le maggiori entrate derivanti proprio dal d. l. n. 138 del 2011 (in pratica, quella disposizione produceva effetti in tutto analoghi a quella oggi gravata). Sul punto codesto Ecc.mo Collegio ha affermato che "in mancanza di riserve statutarie in favore dello Stato, deve osservarsi che la normativa impugnata non e' conforme allo statuto speciale. Infatti, le complessive maggiori entrate derivanti dall'attivita' di contrasto dell'evasione fiscale costituiscono «entrate tributarie» che l'evocato art. 8 dello statuto speciale attribuisce alla Regione autonoma (se riscosse o percette nel suo territorio), secondo le quote fisse indicate nello stesso articolo con riguardo ai diversi tributi oggetto di tale attivita'". Sulla base di tali considerazioni, codesta Ecc.ma Corte costituzionale, con la sent. n. 241 del 2012, ha ritenuto non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 36, del d. l. n. 138 del 2011, per via dell'inapplicabilita' alla Regione autonoma Sardegna della normativa denunciata", dovuta al fatto che l'art. 19-bis del d. l. n. 138 del 2011 reca una c.d. "clausola di salvaguardia" in favore delle Regioni speciali. In particolare, si osservo' che "occorre muovere dall'interpretazione dell'art. 19-bis del decreto-legge n. 138 del 2011 [...], il quale, nel disciplinare, in via generale, il rapporto tra tale decreto e gli enti ad autonomia differenziata, dispone che: «L'attuazione delle disposizioni del presente decreto nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano avviene nel rispetto dei loro statuti e delle relative norme di attuazione". La legge impugnata, pero', non reca alcuna clausola di salvaguardia delle attribuzioni statutarie delle Autonomie speciali. Di conseguenza, non v'e' modo di evitare od escludere la lesione delle competenze statutarie della ricorrente. 6.3.- Una volta di piu', poi, si deve censurare la violazione dell'art. 81 Cost. Anche attraverso l'indebita previsione d'illegittime riserve erariali lo Stato elude il principio di equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci pubblici (art. 81, comma 1, Cost.), dato che la copertura delle sue spese e' ottenuta attraverso un prelievo illegittimo sulle finanze regionali. 6.4.- Inoltre, anche questa misura restrittiva di carattere finanziario, determinando un aggravamento insostenibile della finanza regionale (per le ragioni gia' osservate sub par. 2 e sub par. 3), impedisce alla Regione di esercitare le funzioni pubbliche confidatele dagli artt. 3, 4, 5 e 6 dello Statuto, 117 Cost. e dalle leggi dello Stato. Anche questi parametri, dunque, sono specificamente violati dal comma in esame. 7.- Illegittimita' costituzionale dei commi 526 e 527 dell'art. 1 della l. 24 dicembre 2013, n. 147. Seguendo l'ordine numerico dei commi impugnati, si dovrebbe ora trattare del comma 511 dell'art. 1 della legge impugnata. Ivi si prevede che "Le disposizioni di cui ai commi 508, 510 e 526 cessano di avere applicazione qualora vengano raggiunte intese, entro il 30 giugno 2014, tra lo Stato e ciascuna autonomia speciale in merito all'adozione di interventi diversi, in grado di concorrere in misura corrispondente al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica per il periodo considerato nei medesimi commi 508, 510 e 526". Per comodita' d'esposizione, dunque, dato che il comma 511 rimanda al successivo comma 526, conviene invertire l'ordine di trattazione ed enunciare subito i motivi d'impugnazione di quest'ultima disposizione (in una con quella di cui al comma 527). 7.1.- Il comma 526 dell'art. 1 della legge impugnata stabilisce che, "per l'anno 2014, con le procedere previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano assicurano un ulteriore concorso alla finanza pubblica per l'importo complessivo di 240 milioni di euro. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto articolo 27, l'importo del concorso complessivo di cui al primo periodo del presente comma e' accantonato, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, secondo gli importi indicati, per ciascuna regione a statuto speciale e provincia autonoma, nella tabella seguente: ============================================================= | |Accantonamenti anno 2014 (in | | Regioni a statuto speciale | migliaia di euro) | +=============================+=============================+ | Valle d'Aosta | 5.540 | +-----------------------------+-----------------------------+ | Provincia autonoma Bolzano | 22.818 | +-----------------------------+-----------------------------+ | Provincia autonoma Trento | 19.913 | +-----------------------------+-----------------------------+ | Friuli-Venezia Giulia | 44.445 | +-----------------------------+-----------------------------+ | Sicilia | 106.161 | +-----------------------------+-----------------------------+ | Sardegna | 41.123 | +-----------------------------+-----------------------------+ | Totale | 240.000" | +-----------------------------+-----------------------------+ Il comma in esame, nel determinare accantonamenti a valere sulle quote di compartecipazione alle entrate erariali di spettanza delle Regioni a statuto speciale, determina un nuovo e ulteriore contributo di finanza pubblica in capo alle autonomie speciali. Di conseguenza, ancora una volta la norma in esame e' illegittima per violazione degli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 Cost., anche in relazione al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., in quanto lo Stato ha imposto un onere di finanza pubblica arbitrario e irragionevole, sia in ragione delle previgenti misure restrittive, sia perche' la Regione Sardegna tuttora attende la compiuta esecuzione dell'art. 8 dello Statuto, a piu' di quattro anni dalla data prevista di entrata a regime della riforma delle entrate regionali. Gli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 Cost. sono violati perche' lo Stato, reiterando nel tempo contributi di finanza pubblica in capo alla Regione sempre piu' onerosi, ha eluso il divieto di temporaneita' delle misure finanziarie restrittive gravanti sulle autonomie speciali, cosi' perpetrando una grave lesione dell'autonomia finanziaria delle Regioni stesse. Violati sono anche gli artt. 3, 4, 5 e 6 dello Statuto, in relazione agli artt. 7 e 8 dello Statuto e 117 Cost., in quanto l'onere imposto alla ricorrente, in ragione dell'emergenza finanziaria" (Corte cost., sent. n. 95 del 2013) che grava sulla Regione Sardegna, e' idoneo ad impedire alla Regione l'esecuzione delle funzioni pubbliche confidate alla ricorrente dalla Costituzione e dallo Statuto. L'art. 8 dello Statuto, si deve ripetere una volta di piu', e' stato novellato al fine di rimediare alle evidenti carenze della finanza regionale, riscontrate in primo luogo proprio dalla Ragioneria Generale dello Stato. Stante la pervicace inerzia dello Stato nel negare alla Regione la possibilita' di utilizzo delle nuove risorse (pur al netto, si ripete, dei sacrifici comunque imposti a tutte le autonomie speciali), l'ulteriore irrigidimento della finanza regionale (sia per il tramite delle regole del patto di stabilita' che attraverso ulteriori contributi di finanza pubblica) si risolve in una evidente e grave violazione dell'autonomia finanziaria della Regione ricorrente. Ancora di conseguenza, l'indisponibilita' dei fondi spettanti alla Regione ai sensi dell'art. 8 dello Statuto rende impossibile o eccessivamente oneroso per la Regione lo svolgimento delle funzioni pubbliche e dei servizi (anche essenziali, come quelli sanitari) assegnatile dalla Costituzione (artt. 117 e 119 Cost.), dallo Statuto (artt. 3, 4, 5 e 6), dalle leggi dello Stato (per tutte valga il riferimento ai commi 836 sgg. dell'art. 1 della l. n. 296 del 2006, che hanno operato gli ultimi - in ordine di tempo - trasferimenti di funzioni a carico del bilancio regionale). Di conseguenza anche quei parametri (artt. 3, 4, 5 e 6 dello Statuto e 117 Cost.) sono tutti violati dai commi impugnati (per una precisa esposizione della condizione economico finanziaria della Regione ricorrente e dell'impatto delle ulteriori misure restrittive di finanza pubblica, si rimanda ancora una volta alla piu' diffusa esposizione menzionata sub par. 2 e sub par. 3). 7.2.- Ne' vale ad escludere la lesivita' del comma 526 quanto previsto al successivo comma 527, ove si stabilisce che "gli importi indicati per ciascuna regione a statuto speciale e provincia autonoma nella tabella di cui al comma 526 possono essere modificati, a invarianza di concorso complessivo alla finanza pubblica, mediante accordo da sancire, entro il 31 gennaio 2014, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Tale riparto e' recepito con successivo decreto del Ministero dell'economia e delle finanze". La modificazione del contributo imposto alla Regione ricorrente (peraltro solo eventuale) farebbe permanere un onere comunque insostenibile per la finanza regionale, in ragione dei numerosi contributi di finanza pubblica imposti dallo Stato alle Regioni a partire (almeno) dal 2010 (esposti sopra, sub par. 3) e, soprattutto, in ragione del fatto che la Regione ancora non riesce a beneficiare, per colpevole inerzia statale, dell'adeguamento delle sue entrate e della relativa capacita' di spesa alla novellazione dell'art. 8 dello Statuto. Di conseguenza, dato che il comma 527 non puo' escludere in alcun modo la lesione dell'autonomia finanziaria della ricorrente, esso stesso e' violativo degli artt. 7 e 8 dello Statuto e dell'art. 119 Cost., che tutelano e riconoscono l'autonomia finanziaria della ricorrente. 7.3.- Anche i commi qui in esame, poi, sono violativi dell'art. 81 Cost. Trattasi, come si e' potuto vedere, di disposizioni che impongono nuovi contributi di finanza pubblica in capo alle Regioni, mediante i quali lo Stato aggira (e dunque viola) il principio di equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci pubblici (art. 81, comma 1, Cost.), ribaltando sulle Regioni il conseguimento dell'equilibrio di bilancio che dovrebbe conseguire con mezzi propri. 8.- Illegittimita' costituzionale del comma 511 dell'art. 1 della l. 24 dicembre 2013, n. 147. Il comma 511 dell'art. 1 della legge impugnata prevede che "le disposizioni di cui ai commi 508, 510 e 526 cessano di avere applicazione qualora vengano raggiunte intese, entro il 30 giugno 2014, tra lo Stato e ciascuna autonomia speciale in merito all'adozione di interventi diversi, in grado di concorrere in misura corrispondente al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica per il periodo considerato nei medesimi commi 508, 510 e 526". Quest'ultimo comma consente alle Regioni di concordare strumenti alternativi per contribuire agli obiettivi di finanza pubblica stabiliti ai commi 508, 510 e 526 dell'art. 1 della legge impugnata. Non rileva, in questa sede, il comma 510, dato che esso concerne la sola Regione Valle d'Aosta ("In applicazione dell' articolo 8 della legge 26 novembre 1981, n. 690, per la regione Valle d'Aosta si provvede per ciascun esercizio finanziario all'individuazione del maggior gettito con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze d'intesa con il Presidente della giunta regionale. In caso di mancata intesa entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto del Ministero dell'economia e delle «finanze di cui al comma 508, e fino alla conclusione dell'intesa stessa, per la regione Valle d'Aosta si provvede in via amministrativa con i medesimi criteri individuati per le altre autonomie speciali"). I commi 508 e 526, come si e' gia' detto, invece, sono radicalmente illegittimi. Il primo perche' riserva allo Stato somme che, in virtu' dell'art. 8 dello Statuto, dovrebbero essere compartecipate dalla Regione Sardegna. Il secondo perche' sottopone la ricorrente ad un ulteriore contributo di finanza pubblica irragionevole, arbitrario e insopportabile per le casse regionali, sostanzialmente elusivo dell'obbligo di limitazione temporale delle misure restrittive per la finanza regionale. La Regione impugna, col presente atto, anche i sopra citati commi 508 e 526, sicche' l'annullamento di quelle disposizioni renderebbe privo di contenuto precettivo il comma 511, qui in esame. Quest'ultimo, dunque, solo per estremo tuziorismo viene qui censurato, sulla base della facile constatazione che esso presuppone comunque che la ricorrente, seppure in modalita' diverse, debba sopportare l'illegittimo e rovinoso onere finanziario dei commi 508 e 526 dell'art. 1 della legge impugnata. Di conseguenza, appare evidente che anche il comma 511 e' illegittimo, afflitto com'e' dagli stessi vizi dei commi 508 e 526, che debbono essere qui, una volta di piu', brevemente ricordati: - e' violato l'art. 8 dello Statuto, perche' il comma in esame consente allo Stato di trattenere, seppure in modalita' alternative, l'equivalente delle riserve erariali disposte al comma 508 dell'art. 1 della legge impugnata, in violazione della menzionata disposizione statutaria che esclude in radice la legittimita' di riserve erariali; - sono violati gli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 Cost., anche in relazione al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., dato che la Regione e' chiamata a sostenere un contributo di finanza pubblica che, lo si ripete, appare arbitrario, irragionevole, elusivo dell'obbligo di durata limitata delle misure restrittive per gli enti territoriali e insopportabile per le finanze regionali, sia perche' si situa a valle di numerosi, ingenti oneri finanziari posti in capo alle Regioni negli ultimi anni, sia perche' lo Stato non ha ancora dato compiuta esecuzione all'art. 8 dello Statuto, come novellato dalla l. n. 296 del 2006; - e' violato l'art. 81 Cost., perche', una volta di piu', lo Stato non adempie all'obbligo di perseguire l'equilibrio di bilancio e di disporre coperture adeguate per le proprie spese, trasferendo tale incombenza sulle Regioni, vessate dagli oneri finanziari di cui ai commi 508 e 526 dell'art. 1 della legge impugnata. Inoltre, le misure restrittive di carattere finanziario oggetto del presente comma, determinando anch'esse un aggravamento insostenibile della finanza regionale (per le ragioni gia' osservate sub par. 2 e sub par. 3), impediscono alla Regione di esercitare le funzioni pubbliche confidate alla Regione dagli artt. 3, 4, 5 e 6 dello Statuto, 117 Cost. e dalle leggi dello Stato. Anche questi parametri, dunque, sono specificamente violati dal comma in esame.