Ricorso  della  Regione  autonoma  della  Sardegna  (cod.   fisc.
80002870923) con sede legale in 09123 Cagliari (CA), Viale Trento, n.
69, in persona del Presidente  pro  tempore  Dott.  Ugo  Cappellacci,
rappresentata e difesa, giusta procura a margine del  presente  atto,
dagli  Avv.ti  Tiziana  Ledda  (cod.  fisc.:  LDDTZN52T59B354Q;  fax:
0706062418;          posta          elettronica          certificata:
tledda@pec.regione.sardegna.it) e Prof. Massimo Luciani (cod.  fisc.:
LCNMSM52L23H501G;  fax:  0690236029;  posta  elettronica  certificata
massimoluciani@ordineavvocatiroma.org),   elettivamente   domiciliata
presso lo Studio del secondo in  00153  Roma,  Lungotevere  Raffaello
Sanzio, n. 9; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, in  persona  del
Presidente  pro  tempore,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
Generale  dello  Stato  presso  i  cui  uffici  in  00186  Roma,   e'
domiciliato  ex  lege,  per  la   dichiarazione   dell'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 119, 122, 142, 429, 499, 508,  511,
526 e 527 della l. 27 dicembre 2013, n.  147,  recante  "Disposizioni
per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale  dello  Stato
(legge di stabilita' 2014)", pubbl. in G.U. 27 dicembre 2013, n. 302,
S.O. n. 87 
 
                              F a t t o 
 
    1.- La l. 27 dicembre 2013, n. 147, recante "Disposizioni per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2014)", pubbl. in G.U. 27 dicembre 2013, n. 302,  S.O.  n.
87, si compone di un unico articolo, del quale fanno  parte  ben  749
commi. Detta legge, nel dettare le disposizioni di  bilancio  per  il
triennio 20142016, ha disciplinato una vasta pluralita'  di  oggetti,
tra i quali - per citare solo alcuni aspetti di quanto qui  interessa
direttamente - l'imposizione di oneri di finanza  pubblica  a  carico
delle  Regioni  (commi  119,  429,  499,  526  e  527);  la  parziale
modificazione della disciplina del patto di stabilita'  (comma  122);
l'istituzione di nuove forme d'imposizione fiscale  (comma  142);  la
riserva  all'erario  delle  nuove  entrate  derivanti  da  precedenti
manovre di finanza pubblica (comma 508). 
    Alla realizzazione della complessiva manovra di finanza  pubblica
varata con la l. n. 228 del 2012 sono state chiamate,  dunque,  anche
le autonomie territoriali, ma per  alcuni  significativi  profili  in
forme e con contenuti del tutto illegittimi. 
    Specificamente illegittimi, e violativi delle attribuzioni  della
ricorrente, sono, nelle parti indicate in  epigrafe  e  che  appresso
meglio si identificheranno, le disposizioni di cui ai commi 119, 122,
142, 429, 499, 508, 511, 526 e 527 dell'art. 1. Esse  debbono  essere
pertanto dichiarate costituzionalmente  illegittime  per  i  seguenti
motivi di 
 
                            D i r i t t o 
 
    1.- Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma  119,  della
l. 27 dicembre 2013, n. 147. Il comma in esame dispone che, "al  fine
di garantire un adeguato livello di erogazione  di  servizi  sanitari
nella regione Sardegna, interessata dai gravi eventi alluvionali  del
mese di novembre 2013, a decorrere dal 1° gennaio 2014 gli  obiettivi
finanziari previsti dalla disposizione di cui all'articolo 15,  comma
14,  del  decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95,  convertito,   con
modificazioni, dalla legge 7 agosto  2012,  n.  135,  possono  essere
conseguiti su altre aree della spesa sanitaria". 
    L'art. 15 del d. l. n. 95 del 2012, cui fa  espresso  riferimento
la disposizione impugnata, ha imposto alle Regioni e alle Province di
Trento e Bolzano una serie di limitazioni all'autonomia  finanziaria,
relative al finanziamento e al funzionamento del  servizio  sanitario
regionale. Una di esse era recata dal comma 14, ove si stabiliva  che
"A tutti i singoli contratti e a  tutti  i  singoli  accordi  vigenti
nell'esercizio 2012, ai sensi dell'articolo 8-quinquies  del  decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, per l'acquisto  di  prestazioni
sanitarie  da   soggetti   privati   accreditati   per   l'assistenza
specialistica  ambulatoriale  e  per  l'assistenza  ospedaliera,   si
applica  una  riduzione  dell'importo  e  dei  corrispondenti  volumi
d'acquisto in misura percentuale fissa, determinata dalla  regione  o
dalla provincia autonoma, tale da ridurre la spesa complessiva annua,
rispetto alla spesa consuntivata per l'anno 2011, dello 0,5 per cento
per l'anno 2012, dell'1 per cento per l'anno 2013 e del 2 per cento a
decorrere dall'anno 2014. La misura di contenimento  della  spesa  di
cui  al  presente  comma   e'   aggiuntiva   rispetto   alle   misure
eventualmente gia' adottate dalle singole regioni e province autonome
di Trento e Bolzano e trova applicazione anche  in  caso  di  mancata
sottoscrizione dei contratti e degli accordi, facendo riferimento, in
tale ultimo caso, agli  atti  di  programmazione  regionale  o  delle
province autonome di Trento  e  Bolzano  della  spesa  sanitaria.  Il
livello   di   spesa   determinatosi   per   il   2012   a    seguito
dell'applicazione della misura di contenimento  di  cui  al  presente
comma costituisce il livello su cui si applicano  le  misure  che  le
regioni devono adottare, a decorrere dal 2013, ai sensi dell'articolo
17, comma 1, lettera a), terzo periodo  del  decreto-legge  6  luglio
2011, n. 98 , convertito, con modificazioni, dalla  legge  15  luglio
2011, n. 111". 
    In conseguenza dei limiti economici fissati all'art. 15 del d. l.
n. 95 del 2012 (tra cui quello di cui al comma  14),  lo  Stato,  col
successivo comma 22 dello stesso art. 15 del d. l. n. 95 del 2012, ha
ridotto il finanziamento al  servizio  sanitario  nazionale  "di  900
milioni di euro per l'anno 2012, di 1.800 milioni di euro per  l'anno
2013 e di 2.000 milioni di euro per l'anno 2014 e  2.100  milioni  di
euro a decorrere dall'anno 2015". Per le Regioni a Statuto  speciale,
invece, e' stato previsto l'obbligo di "assicurare il concorso"  agli
obiettivi di finanza pubblica connessi  alla  riduzione  della  spesa
sanitaria versando direttamente allo Stato la  somma  equivalente  ai
risparmi conseguiti, attraverso "le procedure previste  dall'articolo
27 della legge 5 maggio 2009, n.  42"  e,  nelle  more  dell'adozione
delle norme di cui all'art. 27 della l. n. 42  del  2009,  attraverso
accantonamenti "a valere sulle quote di compartecipazione ai  tributi
erariali". 
    Deve essere  ricordato  che  l'odierna  ricorrente,  con  ricorso
iscritto al R.G. n. 160 del 2012, ha gia' impugnato l'art. 15,  comma
22, del d. l. n. 95 del 2012,  censurando  la  lesione  all'autonomia
finanziaria della Regione Sardegna  determinata  dall'imposizione  di
obblighi straordinari di finanza pubblica,  illimitati  nel  tempo  e
concernenti la spesa sanitaria regionale, che, ai sensi dell'art.  1,
comma 836, della l. n. 296 del 2006, grava per l'intero sulle finanze
regionali (ivi si prevede che "dall'anno  2007  la  regione  Sardegna
provvede al finanziamento del  fabbisogno  complessivo  del  Servizio
sanitario nazionale sul proprio  territorio  senza  alcun  apporto  a
carico del bilancio dello Stato").  Sulla  questione  codesta  Ecc.ma
Corte deve ancora pronunciarsi. 
    Le medesime censure debbono oggi essere riproposte avverso l'art.
1, comma 119, della legge impugnata. Con tale previsione, infatti, lo
Stato ha inteso  confermare  in  capo  alle  Regioni  gli  "obiettivi
finanziari" (che altro non sono  se  non  obblighi  finanziari)  gia'
imposti dall'art. 15 del d. l. n. 95 del 2012, i quali debbono essere
assolti non solo attraverso la diminuzione della spesa sanitaria,  ma
anche attraverso la corresponsione allo Stato delle somme equivalenti
ai risparmi conseguiti o,  nelle  more,  tramite  l'accantonamento  a
valere sulle quote di compartecipazione ai tributi. 
    1.2.-  Alla  luce  di  quanto  osservato  in  precedenza,  appare
evidente che il legislatore, con la disposizione in esame, ha imposto
oneri di finanza pubblica da corrispondere direttamente allo Stato in
un ambito che e' integralmente finanziato dalla  Regione  ricorrente,
come dispone l'art. 1, comma 836, della l. n. 296 del 2006). 
    Per tale ragione, appare evidente che il legislatore statale  non
ha inteso porre principi per il governo e il contenimento della spesa
statale  per  la  salute  pubblica  nel  territorio  sardo,   ma   ha
direttamente posto un onere su un capitolo  di  spesa  che  ormai  e'
gestito e finanziato autonomamente dalla Regione Sardegna. 
    In altri termini, la Regione Sardegna, che e' stata  onerata  dal
2006 del finanziamento integrale  della  spesa  sanitaria  regionale,
sara' costretta a stornare una quota parte  delle  risorse  stanziate
per il Servizio sanitario regionale e devolverle sic  et  simpliciter
allo  Stato,  a  titolo  di  contributo  di  finanza  pubblica.  Cio'
determina non solo  un'evidente  lesione  dell'autonomia  finanziaria
regionale, ma anche l'evidente compromissione del diritto alla salute
dei cittadini residenti in Sardegna, che sopportano le conseguenze di
un illegittimo depauperamento delle risorse destinate a sostenere  il
Servizio sanitario nella Regione. 
    A questo proposito, si deve ricordare che  codesta  Ecc.ma  Corte
costituzionale si e' pronunciata su un caso analogo gia' con la sent.
n.  133  del  2010.  Allora  si  controverteva   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 22, commi 2 e 3, del d. l. n. 78  del  2009:
"La predetta norma, nel  prevedere  l'istituzione  di  un  fondo  con
dotazione di 800 milioni di euro - «destinato ad interventi  relativi
al  settore  sanitario»  ed  alimentato  con  le  economie  di  spesa
derivanti, tra l'altro, dall'applicazione del decreto-legge 28 aprile
2009, n. 39 [...] - dispone che «in sede di stipula del Patto per  la
salute e' determinata la quota che le regioni a statuto speciale e le
province autonome di Trento e di Bolzano  riversano  all'entrata  del
bilancio dello Stato per  il  finanziamento  del  Servizio  sanitario
nazionale»" (cosi' e' riassunta la questione  nella  narrativa  della
menzionata pronuncia). Codesta Ecc.ma Corte  costituzionale,  a  quel
proposito,  rilevo'  che  "lo   Stato,   quando   non   concorre   al
finanziamento delta spesa sanitaria, «neppure ha titolo  per  dettare
norme di coordinamento finanziario» (sentenza n. 341 del 2009)". 
    Similmente, nel caso giudicato con  sent.  n.  341  del  2009  si
controverteva sulla legittimita' costituzionale dell'art.  61,  comma
14, del d. l. n. 112 del 2008, ove si prevedeva  che  "siano  ridotti
del 20 per cento, rispetto all'ammontare risultante alla data del  30
giugno 2008 e a decorrere dalla data di conferimento o rinnovo  degli
incarichi, i trattamenti economici complessivi spettanti ai direttori
generali, ai direttori sanitari, ai direttori  amministrativi,  ed  i
compensi spettanti ai componenti dei collegi sindacali delle  aziende
sanitarie  locali,   delle   aziende   ospedaliere,   delle   aziende
ospedaliero universitarie,  degli  istituti  di  ricovero  e  cura  a
carattere scientifico  e  degli  istituti  zooprofilattici".  Codesta
Ecc.ma Corte costituzionale, rilevato  che  "Le  risorse  provenienti
dalla riduzione dei compensi di dirigenti e sindaci  delle  strutture
sanitarie, prevista dalla disciplina impugnata" sarebbero  state  poi
utilizzate per consentire che le "Regioni stesse concorr[essero]  con
lo Stato alla copertura dei relativi  oneri"  e  considerato  che  la
Provincia autonoma di Trento (ricorrente in quella vicenda) "provvede
interamente  al  finanziamento   del   proprio   servizio   sanitario
provinciale, «senza alcun apporto a carico del bilancio dello  Stato»
(art. 34, comma 3, della legge n. 724 del 1994)",  ha  affermato  che
"in tale diverso e peculiare contesto, l'applicazione alla  Provincia
autonoma di Trento del comma 14 dell'art. 61 non  risponderebbe  alla
funzione che la misura in questione assolve per le altre Regioni. Dal
momento che lo Stato  non  concorre  al  finanziamento  del  servizio
sanitario provinciale, ne' quindi  contribuisce  a  cofinanziare  una
eventuale abolizione o riduzione del ticket in  favore  degli  utenti
dello  stesso,  esso  neppure  ha  titolo  per   dettare   norme   di
coordinamento   finanziario   che   definiscano   le   modalita'   di
contenimento di una spesa  sanitaria  che  e'  interamente  sostenuta
dalla Provincia autonoma di Trento". Tanto, e' evidente, deve  valere
anche nel caso qui in esame. 
    1.3.- Ne' serve ad escludere o a mitigare la lesivita' del  comma
impugnato il fatto  che  sia  consentito  alla  Regione  Sardegna  di
individuare "altre aree della spesa sanitaria"  alle  quali  imputare
gli  "obblighi  finanziari"  imposti  alla  Regione.  Tali  obblighi,
infatti, comunque continueranno ad insistere su ambiti dell'attivita'
regionale che sono interamente finanziati dalle entrate proprie della
Regione, sicche' lo Stato non ha titolo per imporre  alla  ricorrente
alcun vincolo alla sua autonomia finanziaria. 
    1.4.- Non basta. Gli "obiettivi finanziari" imposti alla  Regione
ricorrente non sono ne' straordinari ne' limitati nel tempo,  ma,  ai
sensi dell'art. 15, comma 22, del d. l. n. 95 del 2012, cui  essi  si
riferiscono, crescono fino a toccare  (insieme  con  quelli  gravanti
sulle altre Regioni  e  Province  autonome)  l'enorme  somma  di  due
miliardi e cento milioni di euro  "a  decorrere  dall'anno  2015"  (e
quindi di li' in avanti). 
    Se questo e', come e', vero, sono violati i principi che  codesta
Ecc.ma Corte costituzionale ha ricavato dal  testo  costituzionale  a
presidio dei rapporti finanziari tra Stato e Regione. Nella sent.  n.
82 del  2007,  ad  esempio,  si  e'  affermato  che  le  "limitazioni
indirette all'autonomia di spesa degli enti" (come  e'  quella  posta
con il comma in esame) possono darsi solamente "in via transitoria  e
in vista degli specifici  obiettivi  di  riequilibrio  della  finanza
pubblica perseguiti dal  legislatore  statale".  La  disposizione  in
esame, invece, non pone vincoli transitori, ma definitivi. 
    Nella recentissima sent. n. 193 del  2012,  poi,  codesta  Ecc.ma
Corte costituzionale ha ricordato  di  essersi  "espressa  sulla  non
incompatibilita' con la Costituzione delle misure disposte con l'art.
14, commi 1 e 2, del d.l. n. 78 del 2010, sul presupposto - richiesto
dalla propria costante giurisprudenza - che [sono legittime] le norme
che «si limitino a porre  obiettivi  di  riequilibrio  della  finanza
pubblica,  intesi  nel  senso   di'   un   transitorio   contenimento
complessivo, anche se  non  generale,  della  spesa  corrente  e  non
prevedano  in  modo  esaustivo   strumenti   o   modalita'   per   il
perseguimento dei suddetti obiettivi»  (sentenza  n.  148  del  2012;
conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011 e n. 326 del 2010)". 
    1.5.- Si deve poi, osservare che il comma impugnato  viola  anche
il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., in  relazione
al diritto alla salute ex art. 32 Cost. e agli  artt.  7  e  8  dello
Statuto. 
    Come si e' gia' visto, il comma 119 esplicitamente riconosce  che
le limitazioni all'autonomia finanziaria di cui all'art. 15 del d. l.
n. 95 del 2012 non consentono di "garantire un  adeguato  livello  di
erogazione di servizi sanitari nella  regione  Sardegna,  interessata
dai gravi eventi alluvionali del mese di novembre 2013". Di fronte al
riconosciuto vulnus alla salute nel territorio regionale, dovuto  non
solo ai drammatici eventi climatici dello scorso novembre,  ma  anche
ai limiti alla spesa sanitaria imposti dallo  Stato,  il  legislatore
statale avrebbe dovuto escludere del tutto l'applicazione  di  quegli
"obiettivi  finanziari"  che,  invece,  ha  inteso   qui   nuovamente
ribadire. 
    Non avendo cosi' proceduto, pero', il legislatore ha adottato una
disposizione intimamente contraddittoria, circostanza che dimostra di
per se' la violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost.
Il fatto che il comma impugnato  incida  direttamente  nell'autonomia
finanziaria regionale, nonche' nella  gestione  e  nel  finanziamento
della  spesa  sanitaria  regionale,  poi,  dimostra  il   fatto   che
l'irragionevolezza del comma 119 dell'art. 1 della l. n. 147 del 2013
ridonda in violazione dell'art. 32 Cost. e degli artt. 7  e  8  dello
Statuto sardo. 
    Infatti: 
    - sono violati gli  artt.  7  e  8  dello  Statuto  e  119  della
Costituzione, che tutelano la particolare autonomia finanziaria della
Regione Sardegna, nonche' il principio di leale collaborazione di cui
all'art. 117 Cost., anche in relazione all'art. 1, comma  836,  della
l. n. 296 del 2006, perche' lo Stato impone oneri su un  capitolo  di
spesa che e' integralmente finanziato dalla Regione, cosi'  impedendo
alla  Regione  lo  svolgimento   autonomo   delle   funzioni   (anche
economico-finanziarie)  direttamente  conferite  dallo  Stato.  -  e'
violato l'art. 8 dello  Statuto,  perche'  gli  obiettivi  finanziari
posti in capo alla Regione Sardegna vanno  ad  incidere  anche  sulle
quote di compartecipazione alle  entrate  erariali  previste  appunto
dall'art. 8 dello Statuto, quote  di  compartecipazione  che  debbono
essere coerenti con le esigenze della popolazione sarda, mentre qui -
come  si  e'  visto  -  e'  lo   stesso   legislatore   statale   che
(paradossalmente,   illogicamente   e   illegittimamente)   riconosce
l'inadeguatezza delle risorse conferite; 
    - e' violato l'art. 3 Cost., in relazione  all'art.  32  Cost.  e
agli artt. 7 e 8 dello Statuto, in quanto gli "obiettivi  finanziari"
imposti dallo Stato mettono a repentaglio la "garanzia di un adeguato
livello di erogazione di servizi  sanitari  nella  regione  Sardegna,
interessata dai gravi eventi alluvionali del mese di novembre 2013"; 
    -  e'  violato  l'art.  6  dello  Statuto,  in  quanto  il  minor
finanziamento della spesa sanitaria impedisce di fatto  alla  Regione
di esercitare la sua potesta' amministrativa in materia, contando  su
un adeguato ambito di discrezionalita' (il risparmio,  infatti,  deve
comunque essere ottenuto nel comparto della sanita'). 
    1.7.- Non basta. Violato e' anche l'art. 81 Cost.,  in  relazione
ancora agli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 Cost. 
    Come si e' visto, lo Stato  ha  imposto  alle  Regioni  ulteriori
obiettivi  finanziari,  che  queste  debbono  raggiungere  non   solo
attraverso il conseguimento di miglioramenti delle loro  finanze,  ma
anche  versando  direttamente  allo  Stato  somme   pari   a   quelle
risparmiate. Di conseguenza: 
    - e' violato il principio di equilibrio tra le entrate e le spese
a bilancio, (primo comma dell'art. 81 Cost.)  dato  che  il  bilancio
dello Stato consegue il proprio equilibrio solo  a  costo  di  essere
finanziato  direttamente  dalle  Regioni  e,  in  particolare,  dalla
ricorrente (cosi' - anche  -  violandone  l'autonomia  finanziaria  e
contravvenendo agli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 Cost.); 
    - per lo stesso motivo e' violato il  principio  di  adeguata  ed
effettiva copertura delle spese (terzo  comma  dell'art.  81  Cost.),
dato che il bilancio statale si finanzia attraverso un onere  imposto
alle  Regioni,  sulle  quali  e'  illegittimamente  e   illogicamente
ribaltato l'onere di copertura  delle  spese,  in  evidente  elusione
della disciplina costituzionale di bilancio  (ancora  una  volta  con
lesione dell'autonomia finanziaria  della  ricorrente  e  contestuale
violazione degli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 Cost.). 
    2.- Illegittimita' costituzionale del comma 122 dell'art. 1 della
l. 24 dicembre 2013, n. 147. Il comma 122 dell'art. 1 della l. n.  47
del 2013 aggiunge la lett. n-quinquies) all'art. 32, comma  4,  della
l. n. 183 del 2011 (finanziaria per il 2012). L'art. 32 della  l.  n.
183 del 2011 ha riformato  la  disciplina  del  patto  di  stabilita'
interno delle Regioni e  delle  Province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano. Un anno dopo, con i commi 454 sgg. dell'art. 1 della  l.  n.
228 del 2012 (finanziaria  del  2013),  quella  disciplina  e'  stata
nuovamente riformata, attraverso  diverse  interpolazioni  del  testo
dell'art. 32 della l. n. 183 del 2011. 
    Con il comma in esame,  tale  regolamentazione  e'  ulteriormente
modificata, attraverso la previsione di una nuova tipologia di  spesa
che non deve essere computata in quelle rilevanti per il rispetto del
patto  di  stabilita'  interno,  che  fissa  i  limiti   di   impegno
finanziario  sostenibili  dalla  Regione.  In  particolare,   vengono
escluse  dalla  rendicontazione  delle  spese  interne  al  patto  di
stabilita' quelle "effettuate a valere sulle risorse  assegnate  alla
regione Sardegna dalla delibera CIPE n. 8/2012 del 20  gennaio  2012,
pari a 23,52 milioni  di  euro,  limitatamente  all'anno  2014".  Nel
modificare ulteriormente  il  meccanismo  del  patto  di  stabilita',
pero', il legislatore statale non ha previsto un adeguamento  diretto
del patto di stabilita' che delimita  l'autonomia  finanziaria  della
Regione Sardegna in ossequio alla riforma dell'art. 8 dello  Statuto,
intervenuta con l'art. 1, comma  834,  della  l.  n.  296  del  2006,
attraverso un innalzamento, in corrispondenza delle maggiori  entrate
di cui la Regione  beneficia  in  ragione  del  nuovo  art.  8  dello
Statuto, dell'obiettivo della Sardegna relativo al  "complesso  delle
spese finali consentite in  termini  di  competenza  eurocompatibile"
(cosi' si esprime la legge nel configurare il piu' recente sistema di
calcolo e regolazione dei rapporti contabili tra Stato e Regioni). 
    2.1.- Come la Corte ben sa, atteso che la vicenda e' stata ed  e'
alla base di un cospicuo contenzioso costituzionale, l'art.  8  dello
Statuto e' stato modificato dall'art. 1, comma 834, della l.  n.  296
del 2006, cosi' da aumentare le  risorse  regionali,  che  la  stessa
Ragioneria  Generale  dello  Stato  aveva  ritenuto  insufficienti  e
disallineate rispetto al trend di crescita delle  entrate  tributarie
che si riscontrava nelle altre Regioni (cfr. le Note  del  Ragioniere
Generale dello Stato 3 agosto 2005, prot. n. 0102482, e  2  settembre
2005, prot. n. 0112371). 
    Le possibilita' di  utilizzo  delle  risorse  riconosciute  dalla
riforma dello  Statuto,  pero',  sono  circoscritte  e  limitate  dal
sistema del patto di stabilita', che - come  e'  ben  noto  -  e'  il
meccanismo  di  governo  della  finanza  regionale   e   degli   enti
territoriali disegnato dal legislatore statale al fine  di  coniugare
la tutela dell'autonomia finanziaria  della  Regione  e  (in  diverso
grado) degli enti locali, con il  conseguimento  degli  obiettivi  di
finanza pubblica della  Repubblica  in  tutte  le  sue  articolazioni
istituzionali. 
    Il contenuto del patto di stabilita' per le Regioni ad  autonomia
speciale e' sempre stato oggetto  di  accordo  tra  Stato  e  singola
Regione o Provincia  autonoma,  pur  nel  succedersi  delle  continue
riforme del meccanismo (si vedano l'art. 24 della l. n. 448 del 2001;
l'art. 29 della l n. 289 del 2009; l'art. 1, comma 132, della  l.  n.
220 del 2010; l'art. 32 della l. n. 183 del 2011, ora l'art. l, comma
454,  della  l.  n.  228  del  2012).  Il  meccanismo  del  patto  di
stabilita', dunque, si fonda sul principio dell'accordo  tra  eguali,
mediante  il  quale  la  Regione  esercita   la   propria   autonomia
finanziaria e lo Stato garantisce il  conseguimento  degli  obiettivi
generali di finanza pubblica. 
    A partire dal 2011, la ricorrente, nel formulare le proposte  per
l'accordo sul patto di stabilita', ha richiesto al MEF  un  (comunque
prudenziale e sempre parziale) innalzamento del livello degli impegni
e dei pagamenti in corrispondenza delle nuove entrate  derivanti  dal
nuovo regime finanziario di cui all'art. 8  dello  Statuto.  Sin  dal
2011, con Nota 7 giugno 2011, prot. n. 50971 il Ministero  ha  sempre
rigettato  dette  proposte,  affermando  che  "pur  comprendendo   le
esigenze  di   codesta   Regione   di   trasfondere   sulla   propria
potenzialita'  di  spesa  la  piena  entrata  a  regime   del   nuovo
ordinamento  finanziario  [...]  tale  richiesta  necessita   di   un
intervento  legislativo  volto  ad  individuare   la   corrispondente
compensazione finanziaria in termini di fabbisogno e di indebitamento
netto", sicche' "in  assenza  di  una  disposizione  legislativa  che
preveda misure compensative a  favore  di  codesta  Regione  [...]  a
livello tecnico, non sussist[o]no  margini  per  un  ampliamento  del
tetto dei pagamenti" (cosi' la Nota 7 giugno 2011, prot. n. 50971). 
    A causa della posizione assunta dal MEF, a partire  dal  2010  lo
Stato e la Regione  hanno  potuto  stipulare  solamente  mere  intese
tecniche, limitate ad alcuni aspetti marginali della  disciplina  del
patto di stabilita', senza piu'  conseguire  l'accordo  generale  sul
livello delle spese regionali, che e' invece il  cardine  dell'intero
meccanismo. Anzi, l'odierna ricorrente e' stata costretta a gravare i
provvedimenti ministeriali di rigetto delle  proposte  regionali  con
appositi ricorsi. 
    2.3.- La Regione ha costantemente  negato  che  l'esecuzione  del
novellato  art.  8  dello  Statuto   di   autonomia   (anche   quanto
all'adeguamento del patto di stabilita') richiedesse una qualsivoglia
intermediazione legislativa attraverso un comune atto  con  forza  di
legge o tramite un decreto legislativo recante  norme  di  attuazione
dello stesso Statuto. 
    Questa posizione e' confortata da limpide statuizioni di  codesta
Ecc.ma Corte costituzionale. In particolare, con la sent. n.  99  del
2012, la Corte costituzionale, adita dallo Stato per veder dichiarata
l'illegittimita' dell'art. 3 della l. reg. n. 12  del  2011  (con  la
quale  era  stato  previsto  che   la   Regione   dovesse   procedere
all'accertamento delle poste in attivo di bilancio ai sensi dell'art.
8 dello Statuto nella formulazione vigente), ha affermato che non  vi
era  una  "sufficiente  motivazione"  a  sostegno  della   necessita'
(asserita dallo Stato, come si e' detto) che il nuovo  art.  8  dello
Statuto, per produrre i propri effetti al  fine  di  determinare  "la
quota di tributi da trasferire alla Regione in riferimento a ciascuna
compartecipazione",  dovesse  essere  attuato  con   la   particolare
procedura per l'approvazione dei decreti legislativi di attuazione. 
    Cio' significa che la Regione Sardegna, al momento di predisporre
il proprio bilancio previsionale, puo'  e  deve  immediatamente  fare
affidamento  sulle  entrate   derivanti   dal   nuovo   art.   8,   e
contabilizzarle di conseguenza. Inoltre, tanto comporta che lo Stato,
nella gestione (in via  amministrativa  e  in  via  legislativa)  dei
rapporti finanziari con la ricorrente, deve osservare le  previsioni,
immediatamente applicabili, dell'art. 8 dello Statuto. 
    Nondimeno, pur a fronte  dell'evidente  correttezza  dell'assunto
regionale, lo Stato ha (altrettanto  costantemente,  se  ne  e'  dato
conto), affermato che in carenza  di  un'intermediazione  legislativa
l'esecuzione del citato art. 8, novellato, dello Statuto non  sarebbe
possibile e che, inoltre, non sarebbe possibile nemmeno l'adeguamento
della capacita' di spesa della Regione alle  maggiori  disponibilita'
finanziarie riconosciute dall'art. 1, comma 834, della l. n. 296  del
2006, modificativo - appunto - dell'art. 8 dello Statuto. 
    2.4.- Il quadro dei rapporti finanziari tra Stato  e  Regione  ha
visto una svolta con la l. n. 182 del 2012, recante "Disposizioni per
l'assestamento  del  bilancio  dello  Stato  e  dei   bilanci   delle
Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2012", pubblicata  in
G.U. 26 ottobre 2012, n. 251, Suppl. ord. Come ricordato  da  codesta
Ecc.ma Corte nella sent. n.  95  del  2013,  "l'andamento  della  cd.
vertenza entrate denota significativi sviluppi  in  senso  favorevole
alle  richieste  della  Regione  dopo  che  il  legislatore  statale,
nell'adottare disposizioni per l'assestamento del bilancio per l'anno
finanziario 2012, con la legge 16 ottobre 2012, n. 182, ha  destinato
1.383.000.000 euro al fine di devolvere alla Regione il gettito delle
entrate erariali ad essa spettanti in quota fissa  e  variabile",  ai
sensi dell'art. 8 dello Statuto. 
    Ulteriore novita' e' stata recata dall'art. 11, comma 5-bis,  del
d. l. n. 35 del 2013  che,  "al  fine  di  dare  piena  applicazione,
secondo   i   principi   enunciati   nella   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 118  del  2012,  al  nuovo  regime  regolatore  dei
rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione Sardegna,  disciplinato
dalle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 834, della  legge  27
dicembre  2006,  n.  296  ,  tenendo  conto  degli  stanziamenti   di
competenza e cassa allo scopo previsti nel bilancio di previsione per
l'anno finanziario 2013 e nel bilancio pluriennale  per  il  triennio
2013-2015", ha dato mandato al Ministro dell'Economia e delle Finanze
(MEF)  di  concordare  con  la  Regione  Sardegna  "le  modifiche  da
apportare al patto di stabilita' interno per la Regione Sardegna". 
    Nonostante  la  chiarissima  previsione  della  disposizione  ora
menzionata e nonostante il finanziamento delle nuove risorse ex  art.
8 dello Statuto, cui si e' provveduto con la l. n. 182 del  2012,  il
MEF non ha ancora stipulato con la Regione ricorrente  l'accordo  con
cui portare i limiti alla finanza regionale derivanti  dal  patto  di
Stabilita' ad un livello coerente e compatibile con le risorse di cui
all'art. 8 dello Statuto. 
    2.5.- Tutto cio' considerato, davanti  alla  persistente  inerzia
dell'Amministrazione ministeriale nel dare  applicazione  all'art.  8
dello Statuto, assumendo le determinazioni che  il  quadro  normativo
non solo consente (con la l. n. 182 del 2011) ma  addirittura  impone
(con l'art. 11, comma 5-bis, del d. l. n. 35  del  2013),  almeno  il
legislatore, nel modificare ulteriormente il patto di stabilita'  per
la Regione Sardegna,  avrebbe  dovuto  intervenire  direttamente  nel
prevedere la rideterminazione del patto di stabilita' valevole per la
Regione Sardegna. 
    Non avendo cosi provveduto, il legislatore statale ha violato  il
principio di ragionevolezza e il  principio  di  eguaglianza  di  cui
all'art. 3 Cost., gli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 dello Statuto,  gli  artt.
2, 3, 5, 81, 117 e  119  della  Costituzione,  anche  in  riferimento
all'art. 11 della l. n. 196 del 2009. 
    Come ricordato piu' volte, l'art. 8 dello Statuto  della  Regione
Sardegna e' stato novellato dall'art. 1, comma 834, della l.  n.  296
del 2006. Risulta dal citato carteggio del  2005  tra  la  Ragioneria
generale dello Stato e la Regione che l'aumento delle entrate che  ne
e' conseguito non intende certo soddisfare un  capriccioso  desiderio
della Regione di avere a disposizione risorse maggiori, ma  e'  stato
la  logica  conseguenza  della  necessita'  di  adeguare  il   quadro
finanziario a tre dati. 
    Anzitutto, al conferimento alla Regione Sardegna di una serie  di
attribuzioni  (in  materia   di   trasporti,   sanita',   continuita'
territoriale, cfr. art. 1, commi 836 e 837, della l. n. 296 del 2006)
del cui costo lo Stato si e' sgravato,  gravandone  per  converso  la
Regione che - evidentemente  -  non  avrebbe  potuto  esercitarle  in
carenza di adeguate risorse economiche. 
    In   secondo   luogo,   alla   mutata    realta'    sociale    ed
economico-finanziaria di riferimento. Nel corso degli  anni,  invero,
come e' naturale, l'onere economico  derivante  dall'esercizio  delle
funzioni conferite alla Regione, a partire da quelle conferite in via
esclusiva dall'art. 3 dello Statuto, si e'  fatto  piu'  consistente,
anche a causa dell'esigenza di garantire standard sempre piu' elevati
di qualita' dei servizi pubblici e del generale  aumento  dei  costi.
Anche la gia' ricordata Nota  del  3  agosto  2005  della  Ragioneria
Generale dello Stato lo ha constatato, prendendo atto delle "mutevoli
necessita'  di  spesa  derivanti  dall'espletamento  delle   funzioni
normali  della  Regione"  (si  badi:  normali,  sicche'  non  e'  qui
questione del rapporto tra funzioni  "nuove"  e  loro  copertura  con
risorse altrettanto "nuove"!). 
    Da ultimo  (ma  non  per  ultimo)  all'impellente  necessita'  di
rimediare alle gravi ed evidenti anomalie  applicative,  riconosciute
dalla  stessa  Ragioneria  Generale  dello  Stato,  determinate   dal
precedente regime finanziario. Si fa ancora riferimento al  carteggio
tra la ricorrente e la Ragioneria Generale  dello  Stato  dell'estate
2005. Ivi il Ministero ha preso atto di un "anomalo trend  dell'IRPEF
regionale rispetto  a  quello  nazionale"  nei  trienni  1991-1993  e
1996-1998 e di una "progressiva svalutazione  in  termini  reali  del
cespite regionale" relativo alla  compartecipazione  IVA.  E'  facile
comprendere  come  le  anomalie  applicative  del  previgente  regime
finanziario abbiano indebitamente compresso le  entrate  regionali  e
come questa compressione, a sua volta, abbia determinato  un'indebita
riduzione della capacita'  di  spesa,  posto  che  (data  la  mancata
esecuzione integrale della riforma dell'art. 8 dello  Statuto,  anche
in termini di innalzamento della capacita' di spesa) la capacita'  di
spesa  ancora  oggi  riconosciuta   alla   Regione   fa   riferimento
(nientemeno!) all'anno 2005. 
    Quando  la  l.  n.  296  del  2006,  novellando  lo  Statuto,  ha
modificato il quadro finanziario aumentando  le  entrate  disponibili
per la Regione Sardegna, pertanto, non ha fatto altro che adeguare il
quadro delle entrate alle necessita'  delle  spese  e  correggere  le
gravi  distorsioni  applicative   che   avevano   caratterizzato   il
precedente regime finanziario e che avevano di fatto contraddetto  il
senso  stesso  del  sistema   di   compartecipazione   alle   entrate
tributarie, secondo il quale le entrate (e con esse le spese, salvi i
risparmi   di   volta   in   volta   imposti)   regionali    dovevano
fisiologicamente crescere al crescere del gettito tributario. 
    E' chiaro, dunque, che i fondi che devono pervenire alla  Regione
ai sensi dell'art. 8 dello Statuto  e  che  sono  stati  (finalmente)
inseriti nel bilancio dello Stato con la l.  n.  182  del  2012  sono
tutti  preordinati  allo  svolgimento,   da   parte   della   Regione
ricorrente, delle funzioni pubbliche e dei servizi (anche essenziali,
come quelli sanitari) assegnatile dalla Costituzione (artt. 117 e 119
Cost.), dallo Statuto (artt. 3, 4 e 5), dalle leggi dello Stato  (per
tutte valga il riferimento ai commi 836 sgg. dell'art. 1 della l.  n.
296 del 2006, che hanno operato gli ultimi - in  ordine  di  tempo  -
trasferimenti di funzioni a carico del bilancio regionale). 
    E'  del  tutto  evidente,  conseguentemente,   che   il   mancato
adeguamento delle possibilita' di spesa della  Regione  non  solo  ne
limita l'autonomia finanziaria (tutelata dagli artt. 7 dello  Statuto
e 119 Cost.), ma ha come immediata conseguenza la lesione dei diritti
dei cittadini residenti in Sardegna (garantiti dall'art. 2  Cost.)  e
la  violazione  del  principio  del  loro  eguale  trattamento  quali
cittadini della Repubblica (art. 3 Cost.). 
    Cio' considerato, e' palese che ogni  modificazione  del  sistema
del  patto  di  stabilita'  per  le  Regioni  speciali,   specie   se
intervenuta successivamente allo stanziamento dei fondi relativi alle
nuove  quote  di  compartecipazione  alle  entrate  erariali,  doveva
necessariamente essere accompagnata dalla previsione dell'adeguamento
del livello delle spese in termini di competenza eurocompatibile  che
possono essere impegnate e liquidate dall'Amministrazione  regionale,
dato  che,  nella  (pur   radicalmente   contestabile,   si   ripete)
prospettiva assunta dallo Stato quanto alle modalita'  di  entrata  a
regime  dei  nuovo  sistema  di  compartecipazione,  tale  previsione
legislativa era - appunto  -  necessaria.  Proprio  per  questo,  con
censure analoghe a quelle qui proposte, la Regione ha  gia'  ritenuto
di dover impugnare i commi 456 sgg. dell'art. 1 della l. n.  228  del
2012, che, come gia' detto, ha riformato per intero la disciplina del
patto di stabilita' interno tra Stato e  Regioni  (cfr.  R.  Ric.  n.
41/2013). 
    In mancanza di tale adeguamento, invero, la ragione stessa  della
novellazione dell'art. 8 dello Statuto viene  tradita,  perche'  essa
non era certo preordinata ad apprestare arbitrariamente alla  Regione
una maggiore disponibilita' di somme di danaro, bensi' ad  assicurare
una piu' compiuta capacita' di esercitare le funzioni di competenza e
di soddisfare i diritti dei  cittadini  sardi.  Non  serve  a  nulla,
dunque, alla Regione, avere la disponibilita' di maggiori  somme,  se
la disciplina del patto  di  stabilita'  non  consente  alla  Regione
medesima e al MEF di accordarsi sulla  possibilita'  che  tali  somme
siano spese. 
    2.5.1.- A questo proposito,  va  subito  dissipato  un  possibile
equivoco. E' cosa nota che il  meccanismo  del  patto  di  stabilita'
interno pone alle Regioni e agli  enti  locali  un  limite  ulteriore
rispetto al semplice vincolo di bilancio, fissando un  tetto  massimo
sia al livello massimo delle spese che possono essere impegnate,  sia
al livello massimo dei pagamenti  che  possono  essere  liquidati  da
parte dell'Amministrazione interessata.  Orbene,  la  ricorrente  non
intende in alcun  modo  sottrarsi  a  questo  meccanismo  di  governo
dell'economia  pubblica,  che  opera  direttamente   attraverso   una
limitazione della spesa. 
    Purtuttavia si deve segnalare che per le altre Regioni  (anche  a
statuto ordinario) l'ulteriore  "strozzatura"  della  spesa  pubblica
determinata  dal  patto  di  stabilita'  si  innesta  su  un   quadro
fisiologico della finanza regionale, sia  pel  profilo  dei  rapporti
economico-finanziari tra Stato  e  Regione,  sia  pel  profilo  della
corrispondenza tra le risorse disponibili e le  necessita'  di  spesa
dell'Ente connesse alle funzioni novellamente conferite. 
    Per la Regione Sardegna, invece, come si e' gia' detto, il  patto
di stabilita' interno incide in una situazione di  finanza  regionale
che risulta essere  patologica  per  esplicito  riconoscimento  dello
stesso  Stato.  In  altri  termini:  non   solo   le   entrate   sono
insufficienti  (o,  meglio,  lo  saranno  sino  a  che  non   saranno
interamente liquidati gli importi maggiori iscritti al bilancio dello
Stato dalla legge di assestamento 2012) a far fronte al fabbisogno di
spesa, ma la spesa e' ulteriormente ridotta a  causa  della  base  di
calcolo  dei  vincoli  del  patto  di  stabilita',  con  un   effetto
esponenziale sconosciuto alle altre Regioni. 
    Mentre per le altre  Regioni,  invero,  il  patto  di  stabilita'
interno e' calcolato tenendo conto della reale misure  delle  risorse
spettanti, per la Regione Sardegna cio' non accade, perche' il  patto
assume a base di calcolo le risorse anteriori alla  novellazione  del
2006, che pero' era indispensabile - si e' visto - per l'assolvimento
delle funzioni gia' assegnate alla Sardegna e, a piu' forte  ragione,
di quelle ad essa  trasferite  in  quella  occasione  (a  partire  da
quelle, onerosissime, per la Sanita'). Solo per  le  altre  autonomie
speciali, dunque, il  patto  di  stabilita'  puo'  rappresentare  uno
strumento ragionevole  e  coerente  di  coordinamento  della  finanza
pubblica. Per la Regione Sardegna  la  sua  applicazione  in  difetto
della piena esecuzione del nuovo art.  8  dello  Statuto  si  rivela,
invece,  irragionevole   e   violativa   dell'autonomia   finanziaria
regionale. 
    2.5.2.- Per tutte le anzidette ragioni, il legislatore natale  e'
palesemente incorso nei vizi sopra indicati non avendo  previsto,  al
momento di riforniate la disciplina del patto di stabilita' anche  in
seguito allo  stanziamento  in  bilancio  delle  somme  necessarie  a
finanziare il nuovo regime economico della Regione, gli strumenti per
l'aumento del livello delle spese e dei pagamenti che possono  essere
effettuati dalla Regione Sardegna. 
    E' di immediato apprezzamento, anzitutto, la violazione dell'art.
8 dello Statuto. Addirittura dopo aver stanziato le somme  necessarie
a liquidare alla Regione le quote di compartecipazione fissate  dalla
disposizione in esame, e proprio all'atto di modificare la disciplina
del patto di stabilita' per la Sardegna, lo  Stato  non  si  cura  di
consentire alla Regione l'utilizzo di tali somme, cosi'  rendendo  di
fatto inutili detti stanziamenti e procrastinando ancora la  completa
ed esatta esecuzione della novella statutaria,  anche  in  violazione
del consolidato principio che i  sacrifici  finanziari  imposti  alle
Regioni  in  limitazione  della   loro   autonomia   possono   essere
ragionevoli solo se (ragionevolmente, appunto) temporanei (cfr.,  tra
le recenti, sent. n. 193 del 2012), il che,  nella  specie,  non  e',
visto il pervicace rifiuto statale di eseguire quanto disposto  dalle
previsioni statutarie. 
    Tanto determina anche la  conseguente  violazione  dell'autonomia
finanziaria della Regione, tutelata (anche) dall'art. 7 dello Statuto
e dall'art. 119 Cost., autonomia che (come gia' detto  supra)  impone
la garanzia delle capacita' sia di entrata che di spesa che  derivano
dal regime delle compartecipazioni erariali di cui all'art.  8  dello
Statuto. 
    Evidente, poi, e' il vizio di irragionevolezza della disposizione
censurata, perche' l'impossibilita' di effettivo impiego delle  somme
stanziate collide  con  le  finalita'  della  disposizione  medesima,
chiamata a ripartire i sacrifici finanziari secondo le possibilita' e
le esigenze di ciascuno. 
    L'art. 3 Cost., inoltre, risulta violato anche  pel  profilo  del
principio di eguaglianza, poiche',  come  si  e'  visto,  la  Regione
Sardegna risulta essere discriminata nei confronti di tutte le altre,
subendo  la  cristallizzazione  di  limiti  derivanti  dal  patto  di
stabilita' che non  tengono  conto  della  (patologica)  peculiarita'
della sua situazione finanziaria. 
    Lampanti,  infine,  sono  le  violazioni  degli  altri  parametri
costituzionali (art. 117) e statutari (artt. 3, 4 e 5) gia' indicati,
per il semplice motivo  che  le  risorse  in  oggetto -  lo  si  deve
ribadire -  sono  tutte  preordinate  allo  svolgimento  di  funzioni
pubbliche riconosciute come essenziali  per  la  comunita'  regionale
dallo stesso Stato. 
    2.5.3.- Violato e', altresi', il principio di corrispondenza  fra
le entrate e le spese del bilancio regionale,  di  cui  all'art.  81,
comma 1 (nella formulazione vigente, comma 4 nella precedente)  della
Costituzione. 
    E' cosa nota che le politiche di bilancio  devono  rispettare  il
principio di parita' di entrata e di spesa. Tale principio - lo si e'
gia'  accennato  -  e'  stato  ribadito  da  codesta   Ecc.ma   Corte
costituzionale proprio nello  scrutinare  un  conflitto  in  tema  di
rapporti economico-finanziari tra le parti del presente giudizio. 
    Ci si riferisce, in  particolare,  alla  decisiva  e  piu'  volte
citata sent. n. 118 del 2012. In quel caso, lo si ripete, la  Regione
Sardegna aveva impugnato la Nota del Ministero dell'economia e  delle
finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, 7 giugno
2011, n. 50971, avente ad oggetto: "Patto di stabilita'  interno  per
l'anno 2011. Proposta  di  accordo  per  la  Regione  Sardegna".  Con
quell'atto l'Amministrazione statale aveva rigettato la  proposta  di
patto di stabilita' per il 2011 ritualmente formulata  dalla  Regione
ai sensi della legge vigente (art. 1, comma 132, della l. n. 220  del
2010) con cui si chiedeva un innalzamento del livello delle  spese  e
dei pagamenti assentiti in ragione delle  maggiori  entrate  previste
dal riformato art. 8 dello Statuto. 
    Codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha affermato, con cristallina
chiarezza, che  e'  "di  palmare  evidenza  che  [...]  il  principio
inderogabile dell'equilibrio  in  sede  preventiva  del  bilancio  di
competenza comporta che  non  possono  rimanere  indipendenti  e  non
coordinati,  nel  suo  ambito,  i  profili  della  spesa   e   quelli
dell'entrata". E' stato cosi' stabilito, in modo inequivocabile,  che
non solo sul piano logico (il che  e'  addirittura  autoevidente)  ma
anche  su  quello  giuridico  esiste  e  deve  essere  rispettato  un
principio di corrispondenza fra livello delle entrate e livello delle
spese. 
    Tale principio, e' cosa ovvia, deve essere rispettato  anche  nel
dominio del patto di stabilita' e,  pertanto,  non  solo  al  livello
della negoziazione fra la Regione e il MEF, ma anche a  quello  della
disciplina legislativa statale, oggi nuovamente modificata proprio in
relazione alla sola Regione Sardegna. Anche in questo caso,  infatti,
si deve anzitutto escludere che il principio  di  corrispondenza  tra
entrate e spese possa essere di alcun ostacolo al  funzionamento  del
meccanismo  del  patto  di  stabilita'  o  al  raggiungimento   degli
obiettivi di contenimento della spesa pubblica che la  Repubblica  si
propone, anche nel rispetto del quadro economico tracciato in sede di
Unione Europea o di piu' ristretta Unione monetaria. In primo  luogo,
infatti, il principio di parita' fra entrate e uscite  non  impedisce
che la Regione Sardegna possa e debba contribuire agli  obiettivi  di
finanza pubblica. In secondo  luogo,  proprio  codesta  Ecc.ma  Corte
costituzionale ha inteso precisare, ancora nella  sent.  n.  118  dei
2012, che lo strumento del patto di stabilita', per non  condurre  ad
esiti illegittimi e irragionevoli, deve muoversi proprio  nell'ambito
definito dal principio di parita' di entrate e uscite di  bilancio  e
dall'obbligo dell'Ente  territoriale  autonomo  di  contribuire  alla
Finanza pubblica: "il contenuto dell'accordo" che Ministero e Regione
stipulano per fissare i reciproci obblighi di finanza pubblica  "deve
essere compatibile con il  rispetto  degli  obiettivi  del  patto  di
stabilita',  della  cui  salvaguardia  anche  le  Regioni  a  statuto
speciale  devono  farsi  carico  e  contemporaneamente  deve   essere
conforme e congruente con le norme statutarie della  Regione,  ed  in
particolare con l'art. 8 dello statuto modificato - per  effetto  del
meccanismo normativo introdotto dall'art. 54 dello statuto  stesso  -
dall'art. 1,  comma  834,  della  legge  27  dicembre  2006,  n.  296
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2007). Quest'ultimo ha  rideterminato
e quantificato le entrate tributarie e la loro misura  di  pertinenza
della Regione autonoma Sardegna". 
    Per le ragioni anzidette, proprio movendo dalla (peraltro errata)
prospettiva che  e'  necessaria  un'intermediazione  legislativa  per
portare a compimento  il  nuovo  regime  finanziario  previsto  dallo
Statuto, lo Stato aveva il preciso e inequivocabile  dovere  (essendo
state vane altre iniziative legislative) di  prevedere  l'adeguamento
del livello delle spese e dei pagamenti della Regione nel momento  in
cui modificava la disciplina del patto di stabilita', oltretutto dopo
che il bilancio statale era stato assestato per tenere conto (seppure
con un gravissimo ritardo e  solo  nella  prospettiva  delle  entrate
regionali) della necessaria esecuzione dell'art. 8 dello Statuto. Non
avendo  operato  in  tal  senso,  lo  Stato  ha  certamente   violato
l'indicato principio di parita' tra le entrate e le uscite regionali,
di cui all'art. 81, comma 1, della Costituzione. 
    2.5.4.- L'art.  81  Cost.  e'  violato  anche  per  un  ulteriore
profilo. 
    Si e' gia' detto della sent. n. 99 del 2012, in cui la  Corte  ha
respinto (perche' inammissibile) il ricorso dello Stato avverso la l.
reg. n. 6 del 2011, che impone  alla  Regione  di  contabilizzare  le
nuove risorse ex art. 8 dello Statuto tra i capitoli in  entrata  del
proprio bilancio. 
    Cio' considerato, e' evidente che l'impossibilita' di  utilizzare
le anzidette risorse per  lo  svolgimento  delle  funzioni  pubbliche
confidate alla Regione determina il continuo accumularsi di avanzi di
bilancio (dovuti al blocco degli impegni di spesa) e, soprattutto, di
ingenti residui passivi (dovuti al blocco dei  pagamenti  regionali).
Tanto comporta che, a causa del  mancato  adeguamento  del  patto  di
stabilita' regionale, il bilancio della Sardegna  anno  per  anno  si
allontana dal principio di veridicita' (sul fatto che  l'accumulo  di
residui "lascia desumere una stesura  di  bilanci  non  completamente
rispondente ai principi  di  veridicita'  e  chiarezza",  cfr.  Corte
conti, Sez. giurisd. Puglia, sent. 9 giugno 1997,  n.  21;  ma  anche
Sez. riunite Sardegna, ord. 28  giugno  2007,  n.  611;  Sez.  contr.
Calabria, 21 maggio 2008, n. 130, ove si afferma che "il mantenimento
nel bilancio di un elevato volume di residui attivi e  passivi  [...]
pone dei seri problemi in ordine ad una corretta rappresentazione dei
dati  di  bilancio  ed  al  rispetto  dei  principi   di   chiarezza,
veridicita' ed attendibilita', con possibili riflessi negativi  sugli
equilibri dei futuri bilanci dell'ente" etc.). 
    Nel paradossale caso di specie,  dunque,  l'illegittimita'  della
legislazione statale (nonche' dell'azione amministrativa statale  nel
corso della c.d. "vertenza entrate") genera vizi occulti del bilancio
della ricorrente,  che  vede  lesa  una  volta  di  piu'  la  propria
autonomia finanziaria, tutelata dagli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119
Cost. 
    2.5.5.-  Come  si  e'  accennato  nel  paragrafo  precedente,  la
violazione  dell'art.  81   Cost.,   ridonda   immediatamente   nella
violazione  delle  attribuzioni  costituzionali  e  statutarie  della
ricorrente. 
    In particolare, e' nuovamente violato  l'art.  8  dello  Statuto,
perche', come si e' gia' detto, la disponibilita'  in  entrata  delle
risorse  finanziarie  "rideterminate"  e  "quantificate"   in   detta
disposizione (per usare gli stessi, puntuali,  termini  impiegati  da
codesta Ecc.ma Corte costituzionale) a  nulla  vale  se  le  maggiori
somme non possono poi essere concretamente impiegate  attraverso  gli
impegni di spesa e  la  liquidazione  dei  pagamenti  necessari  allo
svolgimento delle funzioni assegnate alla Regione. 
    Di conseguenza, la legge gravata lede, per un ulteriore  profilo,
anche l'autonomia finanziaria della Regione e, pertanto, viola l'art.
7 dello Statuto e l'art. 119 Cost. 
    Similmente, sono novellamente violati anche gli artt. 3,  4  e  5
dello Statuto e 117  Cost.,  perche'  l'impossibilita'  di  effettivo
impiego delle somme stanziate dallo Stato impedisce alla  Regione  di
finanziare le  funzioni  pubbliche  assegnate  dallo  Statuto,  dalla
Costituzione, dalle leggi dello Stato. 
    Tanto, con la conseguenza della violazione  degli  artt,  2  e  3
Cost., perche' i diritti costituzionali dei  cittadini  residenti  in
Sardegna  possono  essere  concretamente  goduti,  in  condizioni  di
parita' con tutti gli altri cittadini italiani, solo  se  la  Regione
puo' svolgere le funzioni pubbliche assegnatele  dalla  Costituzione,
dallo  Statuto  e  dalla  legge  (si  pensi,  in  primo   luogo,   al
finanziamento  del  sistema  sanitario  regionale,  che,   ai   sensi
dell'art. 1, comma 836, della l. n. 296 del 2006, e' -  si  ripete  -
completamente a carico della Regione). 
    L'art. 3 Cost., a sua volta, e' ulteriormente violato  perche'  i
sacrifici imposti alla Regione Sardegna (e  che  questa,  si  ripete,
accetta  -  in  principio  -  pienamente)  avrebbero  dovuto   essere
parametrati alle  disponibilita'  finanziarie  aggiornate  a  seguito
dell'esecuzione dell'art. 8 dello  Statuto  e  non  avrebbero  potuto
rimanere  "congelati"  ad  un  livello   che   quell'esecuzione   non
contemplava. 
    2.6.-  Si  e'  detto  sopra  (sub  par.  2.3.)  che  il   mancato
adeguamento del patto di  stabilita'  regionale  appare  illegittimo,
irragionevole  e  arbitrario  perche'  determina  per   la   Sardegna
l'impossibilita'  di  esercitare  le  attribuzioni  confidate   dalla
Costituzione, dallo Statuto, dalla legge. 
    2.6.1.- Che sia cosi' e'  comprovato  dalle  limpide  statuizioni
rese  dalla  Corte  dei  conti,  Sez.  riun.  Sardegna,  in  sede  di
parificazione  del  bilancio  2012  (Decisione  12  luglio  2013,  n.
1/2013/SS.RR./PARI e relativi  allegati)  e  dai  dati  sull'economia
regionale su cui tale pronuncia si fonda. Nella Decisione le  Sezioni
riunite regionali "ribadiscono quanto gia' affermato con  riferimento
al rendiconto dell'esercizio 2011, ossia l'opportunita' che le regole
del patto siano allineate alla maggiorazione delle entrate,  ormai  a
regime dal 1° gennaio 2010, affinche' si tenga conto  dei  canoni  di
equilibrio di bilancio, nell'osservanza dei principi affermati  dalla
Corte  costituzionale  (sentenza  n.  118  del  7  maggio  2012)"   e
"Auspicano che cio' avvenga senza ulteriori ritardi". 
    La condizione delle finanze  regionali,  si  legge  sempre  nella
Decisione menzionata, ha comportato che "la Regione  anche  nel  2012
non ha contratto mutui" (strumenti che sono essenziali per finanziare
la spesa per investimenti da parte della Regione). 
    Nella Nota Introduttiva del presidente della Sez. reg. Controllo,
allegata alla menzionata Decisione, si legge che "La spesa  [...],  a
causa del mancato adeguamento del  patto  di  stabilita'  al  diverso
regime delle entrate, ha continuato ad essere  soggetta  ai  rigorosi
limiti precedentemente stabiliti", comportando  i  "negativi  effetti
registrati sulla gestione  nel  2012"  che  "potrebbero  evidenziarsi
anche  per  il  corrente  esercizio,  a  meno  che  non  si  pervenga
celermente alla stipula di un piu' favorevole patto di stabilita' per
la Sardegna", anche perche' "la Regione  si  e'  fatta  carico  delle
spese sanitarie, delle spese per il trasporto pubblico  locale  e  di
quelle relative alle misure di continuita' territoriale,  secondo  il
disposto della richiamata legge  finanziaria  per  il  2007,  che  ha
modificato l'articolo 8 dello Statuto regionale". 
    Le parole ora menzionate  sono  chiarissime:  a  seguito  di  una
riforma che doveva portare maggiori risorse nelle casse regionali (e,
conseguentemente,  consentirne  l'utilizzo),  la  Regione  si   trova
gravata di maggiori  oneri,  ma  senza  avere  a  disposizione  nuova
capacita' di spesa. Con le parole della Requisitoria del  procuratore
regionale  allegata  alla  citata  Decisione  di  parificazione   del
bilancio regionale 2012, si puo' ben dire che "il novellato  art.  8,
pur di immediata applicazione  in  virtu'  dell'automatismo  operante
sulla base dell'art. 54, ultimo comma dello Statuto,  avrebbe  dovuto
dispiegare i suoi effetti a partire  dal  2010,  ma  ha  avuto  piena
attuazione esclusivamente per quanto  attiene  all'imputazione  delle
nuove spese a carico del bilancio regionale". 
    Tale   circostanza   determina,   di   fatto,   la   soppressione
dell'autonomia regionale. Come ha affermato il Procuratore  regionale
della Corte dei conti,  "la  specialita'  autonomistica  si  impernia
necessariamente sull'autonomia  finanziaria  che,  a  sua  volta,  si
esplicita in una manovra strutturata di bilancio, solo se in grado di
contare su risorse riconosciute e certe nella  loro  quantificazione,
da poter impiegare attraverso il superamento  degli  attuali  vincoli
imposti dal patto di stabilita'". 
    Ma non finisce qui. E'  importante  osservare  l'effetto  che  il
mancato adeguamento  del  patto  di  stabilita'  ha  determinato  sui
residui passivi, ossia sulle conseguenze contabili dei debiti che  la
Regione Sardegna non riesce ad onorare per non superare la soglia dei
limiti ai pagamenti. 
    Nella Relazione allegata alla Decisione sulla  parificazione  del
bilancio 2012 si osserva che, "se si ha riguardo  alle  dinamiche  di
formazione  dei  residui  passivi,  si  osserva   che   l'indice   di
smaltimento  dei  residui  passivi,  ovvero  il  rapporto   tra   gli
«strumenti» di eliminazione dei residui  passivi,  rappresentati  dai
pagamenti e dalle perenzioni  e/o  economie  di  spesa  e  i  residui
passivi  a  inizio  esercizio,  evidenzia   una   diminuzione   della
percentuale  di  residui  eliminata  per  intervenute  perenzioni  ed
economie, non  accompagnata,  pero',  da  un  corrispondente  aumento
percentuale dei pagamenti  sui  residui,  dovuto  prevalentemente  ai
vincoli imposti dal patto di stabilita'". 
    Cifre alla mano, la Relazione espone che: 
    - "Dal rendiconto generale della Regione si rileva che i  residui
passivi  al  l°   gennaio   2012   ammontavano   complessivamente   a
6.182.595.211,72 euro"; 
    - "Nel corso del 2012  tale  cifra  iniziale  si  e'  ridotta  di
520.861.385,02 euro per effetto di economie e  perenzioni,  mentre  i
pagamenti in conto residui  ammontano  a  1.792.452.448,04  euro.  Di
conseguenza, a fine 2012, si registra  una  diminuzione  dei  residui
provenienti dagli esercizi precedenti del 37,42%,  pari,  in  termini
assoluti, a 2.313.313.833,06 euro tanto significa che la  Regione  ha
condotto  un  considerevole  sforzo  di  ammortamento   dei   residui
precedenti all'anno 2012"; 
    - di conseguenza, "al 31  dicembre  2012  si  registrano  residui
passivi, provenienti dalle gestioni passate, pari a  3.869.281.378,66
euro", cifra ben minore dei 6.182.595.211,72 di inizio anno; 
    - "A tale cifra", pero', "si  aggiungono  i  residui  provenienti
dalla gestione di competenza [2012], che  risultano  complessivamente
pari a 2.158.634.282,44 euro", cifra particolarmente alta,  che  pone
nel nulla tutti gli sforzi  fatti  dalla  Regione  per  abbattere  il
pregresso; 
    - Cio' e' tanto vero che "il totale dei residui  al  31  dicembre
2012 ammonta quindi a 6.027.915.661,10, con una diminuzione del 2,50%
rispetto allo stesso periodo dell'esercizio precedente". 
    In  definitiva,  € 1.800.000  di  pagamenti  in   conto   residui
precedenti al 2012 e 520.861.385,02 di economie  e  perenzioni  hanno
potuto migliorare la gestione dei residui  per  solo  il  2.5%  dello
stock  del  debito  regionale,   perche'   sono   stati   pressocche'
interamente compensati dagli  effetti  del  mancato  adeguamento  del
patto di stabilita' regionale. 
    Non basta ancora. 
    Sempre dalla menzionata Relazione si evince che  l'ammontare  dei
residui passivi e' aumentato in maniera vertiginosa proprio a partire
dal 2010, anno in cui la riforma della finanza regionale e' entrata a
vigore solo per le parti che comportavano  maggiori  oneri  a  carico
della Regione. In particolare: 
    - nell'anno 2010 sono maturati residui passivi per € 534.732,82; 
    - nell'anno  successivo  i  debiti  inevasi  sono  stati  pari  a
€ 1.087.216,46 (piu' del doppio rispetto al 2010); 
    - infine, per il bilancio 2012 l'ammontare dei residui passivi e'
pari a € 2.158.634,27 (circa il doppio rispetto al 2011, il quadruplo
rispetto al 2010; si ribadisce che i dati riportati  sono  certamente
affidabili,  perche'  certificati  dalla  citata  Relazione  per   il
giudizio di parifica). 
    Ecco come spiega l'andamento dei residui  passivi  la  menzionata
Relazione: "Se si  ha  riguardo  alle  dinamiche  di  formazione  dei
residui passivi, si osserva che l'indice di smaltimento  dei  residui
passivi, ovvero il rapporto tra gli «strumenti» di  eliminazione  dei
residui passivi, rappresentati dai pagamenti e dalle  perenzioni  e/o
economie di spesa e i residui passivi a inizio  esercizio,  evidenzia
una  diminuzione  della  percentuale   di   residui   eliminata   per
intervenute perenzioni ed economie, non accompagnata,  pero',  da  un
corrispondente aumento percentuale dei pagamenti sui residui,  dovuto
prevalentemente ai vincoli imposti dal patto di stabilita'". Come  si
vede,  il  mancato  adeguamento  del  patto  di  stabilita'  comporta
l'insostenibilita', per la Regione  Sardegna,  della  gestione  della
finanza  regionale  e  l'impossibilita'  di  esercitare  le  funzioni
pubbliche assegnate dallo Statuto e dalla Costituzione. 
    2.6.2.- Tale condizione e' insostenibile. L'enorme  ammontare  di
residui passivi dimostra che la Regione non e' in grado di  assolvere
alle   funzioni   che   le   spettano.   Si    registra,    pertanto,
l'impossibilita' di svolgere le  funzioni  pubbliche  confidate  alla
ricorrente. 
    Tale condizione e' stata  qui  descritta  nella  prospettiva  del
patto di stabilita', specificamente rilevante per il presente  motivo
di ricorso, nonche' per  il  successivo  motivo  n.  5,  con  cui  si
denuncia l'illegittimita' costituzionale del comma  499  dell'art.  1
della l. n.  47  del  2013,  per  motivi  analoghi  a  quelli  sinora
prospettati. 
    Si deve, pero', considerare che  l'insostenibilita'  dell'attuale
patto di stabilita' rileva anche nell'impugnazione degli altri  commi
dell'art. 1 della l. n. 147 del 2013 oggetto del  presente  giudizio,
che,  come  si  vedra',  impongono  alla  Sardegna  ulteriori  misure
restrittive   direttamente   incidenti   sulla   finanza   regionale,
attraverso  l'imposizione  di  contributi  straordinari  di   finanza
pubblica e dei relativi accantonamenti in capo alla ricorrente (commi
429, 511, 526 e 527), nonche' attraverso la riserva all'erario (commi
508 e - per un diverso profilo - 527) o la rimodulazione  di  imposte
compartecipate dalla Regione (comma 142). 
    Questo perche', come e' stato rilevato nella  sent.  n.  118  del
2012 da codesta Ecc.ma  Corte  costituzionale,  questi  strumenti  di
governo della finanza pubblica sono di per se' idonei  a  restringere
lo "spazio finanziario" all'interno del quale Stato e Regione debbono
definire il contenuto del patto di stabilita'. 
    In altri termini:  l'imposizione  di  un  contributo  di  finanza
pubblica o l'istituzione  di  una  riserva  erariale  o,  ancora,  la
rimodulazione di un'imposta compartecipata che non sia "a saldo zero"
per la Regione ha immediati  effetti  riduttivi  della  capacita'  di
spesa della ricorrente. Tali misure  restrittive,  dunque,  aggravano
quella condizione economico-finanziaria della  Regione  che  e'  gia'
insostenibile. 
    Nei successivi  motivi  di  ricorso,  a  sostegno  delle  censure
proposte, per brevita' d'esposizione e in ossequio  al  principio  di
sinteticita' degli  atti  processuali  ci  si  limitera',  dunque,  a
richiamare quanto affermato nei precedenti paragrafi, a dimostrazione
della "non sopportabilita'" delle misure restrittive  disposte  dallo
Stato. 
    3.- Illegittimita' costituzionale del comma 142 dell'art. 1 della
l. 24 dicembre 2013, n. 147. Il comma 142 dell'art. 1 della l. n. 147
del 2013 dispone che "il saldo attivo della rivalutazione  [dei  beni
d'impresa   e   delle   partecipazioni   societarie   delle   imprese
commerciali] puo'  essere  affrancato,  in  tutto  o  in  parte,  con
l'applicazione in capo alla societa' di un'imposta sostitutiva  delle
imposte  sui  redditi,   dell'imposta   regionale   sulle   attivita'
produttive e di eventuali addizionali nella misura del 10  per  cento
da versare con le modalita' indicate al comma 145". Con il  comma  in
esame il legislatore statale ha  modificato  le  forme  d'imposizione
fiscale sulla rivalutazione, nei bilanci delle  imprese  commerciali,
dei  beni  d'impresa  e  delle   altre   partecipazioni   societarie,
prevedendo, come s'e' visto, un'imposta sostitutiva delle imposte sui
redditi, dell'IRAP, delle addizionali (anche regionali  e  comunali),
pari al 10% del saldo della rivalutazione. 
    La  modificazione  dell'imposizione  e'   lesiva   dell'autonomia
finanziaria regionale, poiche' il risultato  dell'operazione  fiscale
sopra descritta non rispetta il criterio dell'equilibrio finanziario,
che deve ispirare le modificazioni del sistema fiscale che  producono
effetti sulle entrate regionali. 
    E' facile constatare che, ai sensi  del  comma  142  dell'art.  1
della legge impugnata, viene  sostituita  una  forma  di  imposizione
fiscale cosi' costituita: 
    - imposta sui redditi,  che  spetta  alla  Regione  per  i  sette
decimi; - IRAP, che spetta alla Regione per intero; 
    - addizionale regionale, che spetta alla Regione per intero. 
    Al posto  di  questa  combinazione  di  prelievo  fiscale,  viene
instituita un'imposta sostitutiva che e'  partecipata  dalla  Regione
per i sette decimi, ai sensi dell'art. 8, comma 1,  lett.  m),  dello
Statuto, sardo, con evidente deminutio per le casse della  ricorrente
e conseguente violazione  dell'autonomia  finanziaria  della  stessa,
tutelata dagli artt. 7 e 8 dello Statuto. 
    3.1.-   La   ricorrente   non   ignora    l'orientamento    della
giurisprudenza costituzionale secondo cui, "a seguito  di  interventi
del   legislatore   statale,   possono   aversi,   senza   violazione
costituzionale, anche riduzioni di risorse per  la  Regione,  purche'
non tali da rendere impossibile lo svolgimento  delle  sue  funzioni"
(cosi', per tutte, la sent. n. 138 del 1999). 
    Peculiare, pero', e' il caso della Regione Sardegna. Come  si  e'
visto sub par. 2, il legislatore statale ha, di fatto e  di  diritto,
riconosciuto l'insufficienza delle risorse  regionali  attraverso  la
riforma dell'art. 8 dello Statuto. 
    Si e' gia' accennato che tale riforma era stata invocata  proprio
dal Ragioniere Generale  dello  Stato,  come  dimostra  il  carteggio
intervenuto tra la Ragioneria e la Regione ricorrente tra l'agosto  e
il settembre del 2005, relativamente alla  misura  delle  entrate  di
maggiore rilevanza per le  finanze  regionali:  la  compartecipazione
all'imposta sul reddito e la compartecipazione all'I.V.A. 
    Con nota del 3 agosto  2005,  prot.  n.  0102482,  il  Ragioniere
Generale  rappresentava  di   aver   presentato   una   proposta   di
quantificazione delle quote di compartecipazione I.V.A.  "nell'attesa
che  si  proceda  alla  revisione  dell'ordinamento  finanziario  che
consenta di trasformare la compartecipazione IVA da quota variabile a
quota fissa", e che tale proposta era stata predisposta "abbandonando
[...]  il  criterio  incrementale  del  tasso  di   inflazione   che,
comportando nel tempo la progressiva svalutazione  in  termini  reali
del cespite regionale, ha di fatto svilito lo strumento  di  garanzia
previsto  dallo  Statuto,  che  mirava  a  consentire  il  tempestivo
adeguamento delle entrate regionali alle mutevoli necessita' di spesa
derivanti dall'espletamento delle funzioni  normali  della  Regione".
Con nota del 2 settembre 2005, prot. n. 0112371, ancora il Ragioniere
Generale rappresentava che "il gettito IRPEF regionale [...] registra
una  crescita,  nell'arco  temporale  considerato  [1991-2003],  pari
all'1,9%, avallando, pertanto, la tesi della Regione circa  l'anomalo
trend dell'IRPEF regionale rispetto a quello nazionale". 
    Ad oggi, pero', dopo piu' di tre  anni  dalla  data  prevista  di
entrata a regime  del  nuovo  sistema  delle  entrate  regionali,  la
Sardegna ancora  attende  che  lo  Stato  dia  compiuta  e  integrale
esecuzione alla riforma del 2006. Questa situazione, dunque, dimostra
per tabulas l'insufficienza delle risorse disponibili per la  Regione
e, di conseguenza, dimostra l'immediata  lesivita'  di  ogni  manovra
fiscale del legislatore statale che possa deprimere le disponibilita'
finanziarie regionali. 
    3.2.- Si aggiunga, inoltre, che: 
    -  codesta  Ecc.ma  Corte,  nella  sent.  n.  95  del  2013,   ha
riconosciuto che l'inerzia  dello  Stato  nel  dare  esecuzione  alle
previsioni di cui all'art. 8 dello Statuto speciale sta generando una
vera "emergenza finanziaria"; 
    - nella stessa sent. n. 95 del 2013 si' e' ricordato  che  "negli
anni seguenti alla novella legislativa del 2006, le nuove  previsioni
hanno ricevuto puntuale attuazione sul versante delle spese,  con  la
conseguenza che, a decorrere dalla scadenza del  periodo  transitorio
(2009), gli oneri relativi alla sanita', al trasporto pubblico locale
e alla continuita' territoriale sono venuti a  gravare  sul  bilancio
della Regione Sardegna", mentre "sul fronte delle  entrate  [...]  lo
Stato non ha trasferito alla Regione le risorse  corrispondenti  alle
maggiori compartecipazioni al gettito  dei  tributi  erariali,  cosi'
come previsto dall'art. 8 dello statuto". 
    - la Corte dei conti, Sez. controllo per la Regione Sardegna, nei
giudizio di parificazione  del  bilancio  regionale  per  l'esercizio
2011, ha affermato che "la gestione del bilancio regionale  e'  stata
pesantemente condizionata dal quadro di  rigidita'  costituito  dalla
mancata soluzione della vertenza  «entrate»  e  dall'immobilismo  dei
vincoli imposti da: patto di  stabilita',  che  hanno  cristallizzato
l'intero quadro di riferimento finanziario  alle  disponibilita'  del
2005" (anno in cui si sono svolte le interlocuzioni sopra  menzionate
tra Ragioneria Generale  dello  Stato  e  Regione  sull'insufficienza
delle risorse regionali); 
    -  a  questo  proposito  ancora  in  sede  di  parificazione  del
bilancio,  ma  per  il  2011  (e  stavolta  nella  Requisitoria   del
Procuratore regionale)  la  Corte  dei  conti  ha  inteso  "rinnovare
l'auspicio, gia' espresso in occasione  del  referto  sul  rendiconto
2010, che le problematiche connesse al regime di compartecipazione al
gettito dei tributi erariali siano risolte al piu' presto, ora  anche
avuto riguardo al contenuto delle sentenze della Corte costituzionale
intervenute  nei  mesi  scorsi",  in  quanto,  "fra   le   fonti   di
finanziamento  della  spesa,  il  maggiore   gettito   deriva   dalla
compartecipazione ai tributi  erariali,  e  cio'  in  particolare  in
seguito al  venir  meno  dei  trasferimenti  statali  afferenti  alla
sanita' (art. 1, comma 836, legge  296/2006),  dal  2007  ,finanziata
totalmente dalla Regione, senza alcun apporto statale". 
    In  conclusione,  l'illegittimo  depauperamento   delle   entrate
regionali e' evidente e dovra' - si confida -  essere  sanzionato  da
codesta Ecc.ma Corte costituzionale, proprio perche',  nel  peculiare
caso della Sardegna, la riduzione  delle  risorse  regionali  risulta
illegittima in ragione da inequivoci  (e  dallo  Stato  riconosciuti)
dati di fatto e di diritto. 
    4.- Illegittimita' costituzionale del comma 429 dell'art. 1 della
l. 24 dicembre 2013, n. 147. Il comma 429  dell'art.  1  della  legge
impugnata dispone quanto segue: "a seguito delle  misure  di  cui  al
comma 427, per gli anni 2015, 2016 e 2017 le regioni  e  le  province
autonome, a  valere  sui  risparmi  connessi  alle  predette  misure,
assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a complessivi 344
milioni di euro, mediante gli importi di cui ai commi 449-bis  e  454
dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, come modificato
dai commi 497 e 499 del presente articolo. Parimenti,  per  gli  anni
2016 e 2017 gli enti locali, mediante le percentuali recate ai  commi
2 e 6 dell'articolo 31 della legge 12 novembre  2011,  n.  183,  come
modificate dai commi 532 e 534 del presente articolo,  assicurano  un
contributo di 275 milioni di euro annui per i comuni e di 69  milioni
di euro annui per le province". 
    Il comma in esame pone un nuovo contributo di finanza pubblica in
capo alle Regioni e alle  Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano.
Questo  nuovo  e  ulteriore  contributo  di   finanza   pubblica   e'
illegittimo e lesivo  dell'autonomia  finanziaria  della  ricorrente,
come tutelata dagli artt. 7 e 8 dello Statuto, nonche' violativo  del
principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. 
    Il contributo di finanza pubblica imposto  col  comma  in  esame,
infatti, impone  misure  restrittive  in  capo  alle  Regioni  (e  in
particolare alla  Sardegna),  indubbiamente  eccessive  tenuto  conto
della  concreta  situazione  finanziaria  degli  enti  e  della  loro
capacita' fiscale. 
    4.1.- Tale assunto poggia su due ordini di considerazioni. 
    Il primo e' di ordine generale, in quanto concerne  la  posizione
di tutte le Regioni ad autonomia speciale. Esse, infatti, sono  state
nel tempo sottoposte ad una serie sempre crescente di  contributi  di
finanza pubblica. Senza pretesa di esaustivita',  si  deve  segnalare
che: 
    - l'art. 20, comma 5, del d. l. n. 98 del 2011, che ha imposto un
contributo di finanza pubblica per "le regioni a statuto  speciale  e
le province autonome di Trento e Bolzano per 1.000  milioni  di  euro
per l'anno 2013 e per 2.000 milioni di  euro  a  decorrere  dall'anno
2014". 
    - l'art. 1, comma 8, del d. l. n. 138 del 2011  ha  aumentato  il
contributo a "2.000 milioni di  euro  [gia']  a  decorrere  dall'anno
2012"; 
    - l'art. 28, comma 3, del d.  l.  n.  201  del  2012  ha  imposto
contributi a carico del comparto delle autonomie speciali pari a  860
milioni di Euro l'anno; 
    - l'art. 35, comma 4, del d. l. n. 1 del  2012  ha  aumentato  il
contributo di cui all'art. 28, comma 3, di ulteriori 235  milioni  di
Euro; 
    - l'art. 15, comma 22, del d. l. n. 95 del  2012  ha  imposto  un
ulteriore contributo pari a "900 milioni di euro per l'anno 2012,  di
1.800 milioni di euro per l'anno 2013 e di 2.000 milioni di euro  per
l'anno 2014 e 2.100 milioni di  euro  a  decorrere  dall'anno  2015",
posto in capo a tutte le Regioni e le Province autonome di  Trento  e
Bolzano; 
    l'art. 16, comma 3,  del  d.  l.  n.  95  del  2012  ha  imposto,
nuovamente alle sole "Regioni a statuto speciale e Province  autonome
di Trento e Bolzano assicurano un concorso alla finanza pubblica  per
l'importo complessivo di 600 milioni di euro per l'anno  2012,  1.200
milioni di euro per l'anno 2013 e 1.500 milioni di  euro  per  l'anno
2014 e 1.575 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015". 
    A queste previsioni, poi,  debbono  aggiungersi  le  innumerevoli
misure restrittive alla spesa di tutte le  Regioni,  disseminate  nei
decreti legge recanti le manovre correttive di finanza  pubblica  (d.
l. n. 112 del 2008; d. l. n. 78 del 2009; d. l. n. 78 del 2010; d. l.
n. 98 del 2011; d. l. n. 138 del 2011; d. l. n. 95 del 2012; d. l. n.
1 del 2012, etc.). 
    Il  secondo  ordine  di  considerazioni  concerne  la   specifica
situazione della Regione Sardegna. Per non tediare l'Ecc.ma Corte, e'
sufficiente rinviare a quanto gia' detto  nei  precedenti  motivi  di
ricorso (sub 2. e sub 3), al fine di dimostrare che la Regione soffre
un pregiudizio finanziario insostenibile a  causa  dell'inadeguatezza
del previgente regime delle entrate erariali e a  causa  dell'inerzia
dello Stato nel dare completa esecuzione alle  previsioni  del  nuovo
regime delle entrate, di cui al novellato art. 8 dello Statuto. 
    4.2.- Se alle misure restrittive gia' disposte in  precedenza  si
aggiungono, oggi, i 344 milioni di  euro  di  contributo  di  finanza
pubblica posto dal comma qui in esame, appare evidente il  denunciato
vulnus all'autonomia finanziaria regionale. 
    La ricorrente  non  ignora  che,  secondo  la  giurisprudenza  di
codesta Ecc.ma Corte costituzionale, l'imposizione  alle  Regioni  di
contenimenti "transitori" delle spese non contrasta, di per se',  con
la Costituzione e con  le  attribuzioni  statutarie  delle  autonomie
speciali. D'altra parte, tuttavia, la  giurisprudenza  costituzionale
insegna pure che il  detto  vulnus  all'autonomia  finanziaria  delle
Regioni  deve  essere  apprezzato  attraverso  la  valutazione  della
complessiva disponibilita' di risorse per  l'assicurazione  dei  fini
istituzionali confidati alle  Regioni,  sicche'  l'illegittimita'  di
singole disposizioni,  come  quella  impugnata,  appare  evidente  se
misurata nei piu' ampio contesto  degli  interventi  legislativi  che
pregiudicano, tutte insieme, l'autonomia finanziaria regionale,  gia'
sofferente (cfr. sentt. nn. 284 del 2009, 326 del 2010, 232 del 2011,
148 del 2012). 
    4.3. Quanto osservato per i vincoli alla finanza regionale vale -
ovviamente - anche per i limiti all'autonomia finanziaria degli  enti
territoriali, anch'essi colpiti  dall'ultimo  periodo  del  comma  in
esame. A tal proposito basti qui osservare che: 
    - il comparto degli enti  territoriali  (comuni  e  province)  e'
stato soggetto a prelievi analoghi a  quelli  che  hanno  colpito  le
Regioni (cfr., per tutti, gli artt. 20 del d. l. n. 98 del 2011 e  28
del d. l. n. 201 del 2011); 
    -  per  le  ragioni  gia'  indicate  circa  la   storia   recente
dell'autonomia finanziaria regionale sarda,  particolarmente  vessati
dalle manovre di finanza pubblica sono gli enti locali sardi; 
    - la lesione all'autonomia finanziaria  degli  enti  territoriali
ridonda nella lesione di quella regionale, dato  che  la  Regione  e'
chiamata ad integrare le dotazioni finanziarie degli enti locali o  a
svolgere le funzioni pubbliche da questi non piu' gestibili. 
    Si deve, poi, considerare che la "materia della  finanza  locale,
per  la  Regione  sarda,  e'  devoluta  alla  competenza  legislativa
esclusiva della  Regione  in  forza  dell'art.  3,  lettera  b),  del
relativo statuto speciale" (Corte cost., sent. n. 275 del  2007).  Di
conseguenza,  l'illegittima  e  arbitraria  imposizione   di   misure
restrittive in danno degli enti locali sardi si risolve nell'indebita
violazione della competenza legislativa  esclusiva  della  ricorrente
nelle materie "finanza locale" e  "ordinamento  degli  enti  locali",
attribuita alla  Regione  dell'art.  3,  comma  1,  lett.  b),  dello
Statuto. Anche l'ultimo periodo del  comma  in  esame,  dunque,  deve
essere annullato da codesta Ecc.ma Corte costituzionale. 
    4.4.- Codesta Ecc.ma Corte costituzionale, come si e'  accennato,
ha sovente affermato che lo  Stato  non  puo'  imporre  alle  Regioni
misure  restrittive   con   durata   illimitata   nel   tempo,   pena
l'illegittima  lesione  dell'autonomia  finanziaria   delle   Regioni
medesime. 
    Nella sent. n. 82 del 2007 e' stato afferrato che le "limitazioni
indirette all'autonomia di spesa degli enti" possono darsi  solamente
"in  via  transitoria  e  in  vista  degli  specifici  obiettivi   di
riequilibrio  della  finanza  pubblica  perseguiti  dal   legislatore
statale", mentre sono illegittime le misure restrittive poste a tempo
indeterminato. Nella sent. n. 193 del 2012, poi, codesta Ecc.ma Corte
costituzionale ha ricordato che  "possono  essere  ritenute  principi
fondamentali in materia di coordinamento della finanza  pubblica,  ai
sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., le norme che «si  limitino
a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi  nel
senso di  un  transitorio  contenimento  complessivo,  anche  se  non
generale, della spesa corrente e  non  prevedano  in  modo  esaustivo
strumenti o modalita' per il perseguimento  dei  suddetti  obiettivi»
(sentenza n. 148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del
2011 e n. 326 del 2010)". 
    A questo proposito, se e'  vero  che  il  contributo  di  finanza
pubblica richiesto dal comma in esame e' limitato ad un triennio (ma,
si badi, anche il 2014 e' inciso dalla legge impugnata, come dimostra
il comma 526, del quale si dice appresso, sub  par.  7),  deve  anche
considerarsi che, come esposto supra, sub par. 4.2., le Regioni  sono
sottoposte da diversi anni (almeno dal 2010) a contributi di  finanza
pubblica sempre crescenti (alcuni dei quali, per  inciso,  non  hanno
limiti di tempo, ma sono imposti con una durata indefinita). 
    Di fatto,  dunque,  anche  l'imposizione  in  esame  puo'  essere
considerata come parte di un contributo di finanza  pubblica  che  e'
circoscritto nel tempo solo apparentemente, ma in  realta'  elude  il
divieto  di  temporaneita'  delle  misure  restrittive   di   finanza
pubblica. Di conseguenza, il comma in esame e' anch'esso illegittimo,
per violazione degli artt. 7 e 8  dello  Statuto  e  119  Cost.,  che
tutelano l'autonomia finanziaria della ricorrente. 
    4.5.- Infine, anche il  comma  qui  in  esame  risulta  violativo
dell'art. 81 Cost. 
    Attraverso  l'imposizione  di  continui,  ripetuti  e  di   fatto
indefiniti contributi di finanza pubblica in capo  alle  Regioni,  lo
Stato viene ad eludere il principio di equilibrio tra le entrate e le
spese dei bilanci pubblici (art.  81,  comma  1,  Cost.).  Lo  Stato,
infatti, ottiene l'equilibrio finanziario a copertura delle sue spese
solo attraverso un sostanzioso  finanziamento  ottenuto  forzosamente
dalle Regioni. 
    Inoltre, l'imposizione di continui contributi finanziari in  capo
alle Regioni determina anche l'elusione del  principio  di  effettiva
copertura  delle  spese  (art.  81,  comma  3,  Cost.)  disposte  dal
legislatore, copertura che viene disposta  solo  formalmente,  mentre
sono le Regioni che finanziano gli interventi statali disposti  dalla
legge impugnata. 
    5.- Illegittimita' costituzionale del comma 499 dell'art. 1 della
l. 24 dicembre 2013, n. 147. Il comma in esame ha novellato l'art. 1,
comma 454, della l. n. 228 del  2012  (legge  di  stabilita'  per  il
2013).  Il  tenore  testuale  della  disposizione  impugnata  e'   il
seguente: "Al comma 454 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012,
n. 228, sono apportate le seguenti modificazioni: 
    a) al primo  periodo,  la  parola:  «2016»  e'  sostituita  dalla
seguente: «2017» e le parole:  «di  competenza  finanziaria  e»  sono
soppresse; 
    b) al primo periodo, la lettera d) e' sostituita dalla  seguente:
«d) degli importi indicati nella seguente tabella: 
 
 
  =================================================================
  |    Regione o Provincia    |               |  (in milioni di   |
  |         autonoma          |    Importo    |       euro)       |
  +===========================+===============+===================+
  |                           |   Anno 2014   |  Anni 2015-2017   |
  +---------------------------+---------------+-------------------+
  |    Trentino-Alto Adige    |       2       |        3          |
  +---------------------------+---------------+-------------------+
  |Provincia autonoma Bolzano |      26       |        35         |
  +---------------------------+---------------+-------------------+
  | Provincia autonoma Trento |      25       |        34         |
  +---------------------------+---------------+-------------------+
  |  Friuli- Venezia Giulia   |      56       |        75         |
  +---------------------------+---------------+-------------------+
  |       Valle d'Aosta       |       7       |         9         |
  +---------------------------+---------------+-------------------+
  |          Sicilia          |      133      |        178        |
  +---------------------------+---------------+-------------------+
  |         Sardegna          |      51       |        69         |
  +---------------------------+---------------+-------------------+
  |        Totale RSS         |      300      |        403        |
  +---------------------------+---------------+-------------------+
 
 
    c) al primo periodo, dopo la lettera d) e' inserita la  seguente:
«d-bis) degli ulteriori contributi disposti a carico delle  autonomie
speciali»; 
    d) al secondo periodo, le parole da: «Il  complesso  delle  spese
finali» fino a: «ai sensi del presente comma» sono soppresse". 
    Per comprendere i profili d'illegittimita' del comma in esame  e'
necessario riportare la precedente versione del comma 454 dell'art. 1
della l. n. 228 del 2012, prima della  novellazione  apportata  dalla
legge qui impugnata. Esso prevedeva che le Regioni a statuto speciale
concordano "l'obiettivo in termini di  competenza  finanziaria  e  di
competenza eurocompatibile [ossia il contenuto dell'accordo sul patto
di stabilita' interno],  determinato  riducendo  il  complesso  delle
spese finali in termini di competenza eurocompatibile risultante  dal
consuntivo 2011: a) degli importi indicati per il 2013 nella  tabella
di cui all'articolo 32, comma 10, della legge 12  novembre  2011,  n.
183; b) del  contributo  previsto  dall'articolo  28,  comma  3,  del
decreto-legge 6  dicembre  2011,  n.  201  [...]  come  rideterminato
dall'articolo 35, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio  2012,  n.  1
[...] e dall'articolo 4, comma 11, del decreto-legge 2 marzo 2012, n.
16  [...]  c)  degli  importi  indicati  nel  decreto  del  Ministero
dell'economia e delle finanze, relativi al 2013, 2014, 2015  e  2016,
emanato in attuazione dell'articolo 16, comma 3, del decreto-legge  6
luglio 2012, n. 95 [...] d) degli  ulteriori  contributi  disposti  a
carico delle autonomie speciali". 
    Gli effetti della novellazione recata dalla l. n.  147  del  2013
sono presto detti: i margini disponibili per le Autonomie speciali  e
per il MEF per determinare il contenuto  dell'accordo  sul  patto  di
stabilita' interno si riducono ulteriormente, stante l'imposizione di
nuovi, maggiori oneri di finanza pubblica a carico  delle  Regioni  e
delle Province Autonome (per la Sardegna:  ulteriori  51  milioni  di
Euro per il 2014, che diventano 69 per il triennio successivo). 
    5.1.- Cio' considerato, il comma in esame risulta illegittimo per
due ordini di profili, separati ma connessi. 
    In primo luogo, debbono essere qui rinnovate le censure mosse  al
comma 122 dell'art. 1 della legge impugnata (cfr. par. 2.5., che qui,
per ragioni di economia processuale,  interamente  si  richiama):  la
modificazione  (peraltro  peggiorativa  per   gli   interessi   della
ricorrente) della regolamentazione del patto  di  stabilita'  interno
doveva accompagnarsi  allo  (anzi,  doveva  essere  preceduta  dallo)
adeguamento del patto di stabilita'  per  la  Regione  Sardegna  alla
riforma delle entrate regionali intervenuta con la modifica dell'art.
8 dello Statuto. 
    Non avendo cosi' operato, lo Stato ha violato gli  artt.  7  e  8
dello Statuto sardo, che tutelano l'autonomia  finanziaria  regionale
attraverso il riconoscimento  della  disponibilita'  delle  quote  di
compartecipazione alle entrate erariali, nonche'  l'art.  119  Cost.,
che riconosce l'autonomia finanziaria delle Regioni. 
    L'art. 8 dello Statuto, infatti, e' stato novellato  al  fine  di
rimediare alle evidenti carenze della finanza regionale,  riscontrate
in primo luogo proprio dalla Ragioneria Generale dello Stato.  Stante
la  pervicace  inerzia  dello  Stato  nel  negare  alla  Regione   la
possibilita' di utilizzo  delle  risorse  (anche,  ma  non  solo,  in
termini  di  espansione  della   capacita'   di   spesa   regionale),
l'ulteriore irrigidimento della finanza regionale (sia per il tramite
delle  regole  del  patto  di  stabilita'  che  attraverso  ulteriori
contributi di finanza pubblica) si risolve in una  evidente  e  grave
violazione dell'autonomia finanziaria della Regione ricorrente. 
    Inoltre, come gia' si e' detto in precedenza (specie sub par. 2 e
sub par. 3) l'indisponibilita' dei fondi spettanti  alla  Regione  ai
sensi dell'art. 8 dello Statuto rende  impossibile  o  eccessivamente
oneroso per la Regione lo svolgimento delle funzioni pubbliche e  dei
servizi (anche essenziali, come quelli  sanitari)  assegnatile  dalla
Costituzione (artt. 117 e 119 Cost.), dallo Statuto (artt. 3, 4, 5  e
6), dalle leggi dello Stato (per tutte valga il riferimento ai  commi
836 sgg. dell'art. 1 della l. n. 296 del 2006, che hanno operato  gli
ultimi - in ordine di tempo - trasferimenti di funzioni a carico  del
bilancio regionale). Di conseguenza anche quei parametri (artt. 3, 4,
5 e 6 dello Statuto  e  117  Cost.)  sono  tutti  violati  dal  comma
impugnato. 
    Infine e' violato anche l'art. 81 Cost. perche'  l'impossibilita'
di utilizzare le anzidette risorse per lo svolgimento delle  funzioni
pubbliche confidate alla Regione determina - come gia' si e' detto  -
l'incontrollato accumularsi di avanzi di bilancio (dovuti  al  blocco
degli impegni di spesa) e  di  ingenti  residui  passivi  (dovuti  al
blocco  dei  pagamenti  regionali),  sicche',  a  causa  del  mancato
adeguamento del patto di  stabilita'  regionale,  il  bilancio  della
Sardegna anno per anno si allontana dal principio di veridicita'. 
    5.2.- In secondo luogo, si deve tenere in debito conto  il  fatto
che, come gia' osservato sopra, la  nuova  disciplina  del  patto  di
stabilita' e' peggiorativa per le gia' depresse finanze regionali. 
    Anche  in  questo  caso,  dunque,  e'  necessario  rilevare   che
l'imposizione di nuovi oneri in capo alla ricorrente,  a  fronte  dei
gia' vigenti contributi  di  finanza  pubblica  e  della  particolare
situazione finanziaria della Regione Sardegna, che ancora attende  la
compiuta esecuzione  del  novellato  art.  8  dello  Statuto,  appare
un'arbitraria e irragionevole compressione dell'autonomia finanziaria
regionale. Tanto si risolve, ancora una volta, nella violazione degli
artt. 7 e 8  dello  Statuto  e  119  Cost.,  anche  in  relazione  al
principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. 
    Inoltre, si deve nuovamente denunciare la violazione dell'art. 81
Cost., ma per  un  ulteriore  profilo.  Come  gia'  si  e'  detto  in
precedenza, attraverso l'imposizione di continui, ripetuti e di fatto
indefiniti contributi di finanza pubblica in capo  alle  Regioni,  lo
Stato viene ad eludere il principio di equilibrio tra le entrate e le
spese dei bilanci pubblici (art.  81,  comma  1,  Cost.).  Lo  Stato,
infatti, ottiene l'equilibrio finanziario a copertura delle sue spese
solo attraverso un sostanzioso  finanziamento  ottenuto  forzosamente
dalle  Regioni.  Inoltre,  l'imposizione   di   continui   contributi
finanziari in  capo  alle  Regioni  determina  anche  l'elusione  del
principio di effettiva copertura  delle  spese  (art.  81,  comma  3,
Cost.) disposte dal legislatore, copertura che  viene  disposta  solo
formalmente, mentre sono le Regioni  che  finanziano  gli  interventi
statali disposti dalla legge impugnata. 
    6.- Illegittimita' costituzionale del comma 508 dell'art. 1 della
l. 24 dicembre 2013, n. 147. Il comma 508  dell'art.  1  della  legge
impugnata prevede che, "al  fine  di  assicurare  il  concorso  delle
regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento  e  di
Bolzano all'equilibrio dei bilanci e alla sostenibilita'  del  debito
pubblico,  in  attuazione  dell'articolo  97,  primo   comma,   della
Costituzione, le nuove e  maggiori  entrate  erariali  derivanti  dal
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con  modificazioni,
dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, e dal decreto-legge 6 dicembre
2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22  dicembre
2011, n. 214, sono riservate all'Erario, per  un  periodo  di  cinque
anni  a  decorrere  dal  1°  gennaio  2014,  per  essere  interamente
destinate  alla  copertura  degli  oneri  per  servizio  del   debito
pubblico, al fine di  garantire  la  riduzione  del  debito  pubblico
stesso  nella  misura  e  nei  tempi  stabiliti  dal  Trattato  sulla
stabilita',  sul  coordinamento  e   sulla   governance   nell'Unione
economica e monetaria, fatto a Bruxelles il 2 marzo 2012,  ratificato
ai sensi della legge 23 luglio 2012, n. 114. Con apposito decreto del
Ministero dell'economia e delle finanze, sentiti i  Presidenti  delle
giunte regionali interessati, da adottare entro sessanta giorni dalla
data di entrata in vigore della presente  legge,  sono  stabilite  le
modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso  separata
contabilizzazione". 
    Il comma riportato riserva all'erario, per un periodo  di  cinque
anni, le maggiori entrate derivanti dall'applicazione  delle  manovre
di finanza pubblica dell'agosto e del dicembre del 2011. 
    6.1.- In questo modo, le disposizioni censurate acquisiscono alla
disponibilita' dello Stato maggiori entrate che dovrebbero essere  di
sicura spettanza regionale, quanto meno in notevole misura, in ragion
del regime di compartecipazione alle entrate di cui all'art. 8  dello
Statuto sardo. 
    Quanto al d. l. n. 201 del 2011, solo a titolo di  esempio,  sono
maggiori entrate compartecipate dalla ricorrente quelle derivanti: i)
dall'esclusione  e/o  rimodulazione  del  credito  d'imposta  per  le
societa' commerciali (art. 9); dall'emersione  di  "base  imponibile"
per le attivita' soggette a IVA (art. 10, commi da 1 a 7 e da 9 a 13,
e art. 11); iii) dall'applicazione  di  misure  sanzionatone  per  il
recupero  di  crediti  non  versati  al  fisco  (art.  10,  commi  8,
13-quater, 13-decies, lett. b), e c)); iv) dalla rimodulazione  delle
aliquote sulle accise  per  gli  idrocarburi  (art.  15);  vi)  dalle
disposizioni per la tassazione di  auto  di  lusso,  imbarcazioni  ed
aerei (art. 16); vii) dall'aumento  delle  aliquote  IVA  (art.  18);
viii) dalle disposizioni in materia di  imposta  di  bollo  su  conti
correnti, titoli, strumenti e prodotti finanziari nonche' sui  valori
c.d. "scudati" e sulle attivita' finanziarie e  immobiliari  detenute
all'estero (art. 19). 
    Quanto al d. l. n. 138 del  2011,  l'art.  2  determina  maggiori
entrate soggette  a  regime  di  compartecipazione  in  virtu'  delle
seguenti  misure  fiscali:  i)  introduzione  di  un  contributo   di
solidarieta'   sui   redditi   eccedenti   € 300.000,00;   incremento
dell'I.V.A.;  introduzione  di  nuove  forme  di  giochi  pubblici  e
lotterie istantanee; recupero dell'evasione  fiscale;  aumento  delle
aliquote sui redditi da capitale. Maggiori entrate sono dovute  anche
dall'anticipazione delle riduzioni di alcune  esenzioni  fiscali,  di
cui all'art. 1, comma 6, del d. l. n. 138 del 2011. 
    Cio' considerato, la disposizione in esame e' violativa dell'art.
8 dello Statuto, perche' il legislatore statale non puo', in  assenza
di disposizioni statutarie che consentano  l'istituzione  di  riserve
erariali,  escludere  la  ricorrente  dalla  compartecipazione   alle
entrate erariali che le spetta ai sensi dell'art. 8 dello Statuto. 
    Di conseguenza, e' violato anche  l'art.  7  dello  Statuto,  che
riconosce e tutela l'autonomia finanziaria della Regione  ricorrente,
compromessa dalla sottrazione delle risorse spettanti alla Regione in
forza di una precisa clausola statutaria. 
    6.2.-  La  questione  della  riserva  all'erario  delle  maggiori
entrate  derivanti  dal  recupero  dell'evasione  fiscale  e'   stata
scrutinata nella recente sent. n. 241  del  2012.  In  quel  caso  la
Regione Sardegna, ricorrente ora come allora, aveva impugnato proprio
l'art. 2, comma 36, del d. l. n. 138 del  2011,  che  gia'  riservava
allo Stato le maggiori entrate derivanti proprio dal d. l. n. 138 del
2011 (in pratica, quella  disposizione  produceva  effetti  in  tutto
analoghi a quella oggi gravata). 
    Sul punto codesto Ecc.mo Collegio ha affermato che  "in  mancanza
di riserve statutarie in favore dello Stato, deve osservarsi  che  la
normativa impugnata non e' conforme allo statuto  speciale.  Infatti,
le complessive maggiori entrate derivanti dall'attivita' di contrasto
dell'evasione  fiscale   costituiscono   «entrate   tributarie»   che
l'evocato art. 8 dello  statuto  speciale  attribuisce  alla  Regione
autonoma (se riscosse o percette  nel  suo  territorio),  secondo  le
quote fisse indicate nello stesso articolo con  riguardo  ai  diversi
tributi oggetto di tale attivita'". 
    Sulla  base  di  tali  considerazioni,   codesta   Ecc.ma   Corte
costituzionale, con la sent. n. 241 del 2012, ha ritenuto non fondata
la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  2,  comma  36,
del d. l. n. 138 del 2011, per via dell'inapplicabilita' alla Regione
autonoma Sardegna della normativa denunciata", dovuta  al  fatto  che
l'art. 19-bis del d. l. n. 138 del 2011 reca una  c.d.  "clausola  di
salvaguardia" in favore delle Regioni speciali.  In  particolare,  si
osservo' che "occorre muovere dall'interpretazione  dell'art.  19-bis
del decreto-legge n. 138 del 2011 [...], il quale, nel  disciplinare,
in via generale, il rapporto tra tale decreto e gli enti ad autonomia
differenziata, dispone  che:  «L'attuazione  delle  disposizioni  del
presente decreto nelle regioni a statuto speciale  e  nelle  province
autonome di Trento e Bolzano avviene nel rispetto dei loro statuti  e
delle relative norme di attuazione". 
    La  legge  impugnata,  pero',  non  reca   alcuna   clausola   di
salvaguardia delle attribuzioni statutarie delle Autonomie  speciali.
Di conseguenza, non v'e' modo di  evitare  od  escludere  la  lesione
delle competenze statutarie della ricorrente. 
    6.3.- Una volta di piu', poi, si  deve  censurare  la  violazione
dell'art.   81   Cost.   Anche   attraverso   l'indebita   previsione
d'illegittime  riserve  erariali  lo  Stato  elude  il  principio  di
equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci pubblici  (art.  81,
comma 1, Cost.), dato che la copertura delle sue  spese  e'  ottenuta
attraverso un prelievo illegittimo sulle finanze regionali. 
    6.4.- Inoltre,  anche  questa  misura  restrittiva  di  carattere
finanziario, determinando un aggravamento insostenibile della finanza
regionale (per le ragioni gia' osservate sub par. 2 e  sub  par.  3),
impedisce  alla  Regione  di   esercitare   le   funzioni   pubbliche
confidatele dagli artt. 3, 4, 5 e 6 dello Statuto, 117 Cost. e  dalle
leggi   dello   Stato.   Anche   questi   parametri,   dunque,   sono
specificamente violati dal comma in esame. 
    7.- Illegittimita' costituzionale dei commi 526 e 527 dell'art. 1
della l. 24 dicembre 2013, n. 147.  Seguendo  l'ordine  numerico  dei
commi impugnati, si dovrebbe ora trattare del comma 511  dell'art.  1
della legge impugnata. Ivi si prevede che "Le disposizioni di cui  ai
commi 508, 510 e 526 cessano di avere  applicazione  qualora  vengano
raggiunte intese, entro il 30 giugno 2014, tra lo  Stato  e  ciascuna
autonomia speciale in merito all'adozione di interventi  diversi,  in
grado di concorrere in misura corrispondente al  conseguimento  degli
obiettivi di finanza pubblica per il periodo considerato nei medesimi
commi 508, 510 e 526". Per comodita' d'esposizione, dunque, dato  che
il comma 511 rimanda al  successivo  comma  526,  conviene  invertire
l'ordine di trattazione ed enunciare subito i  motivi  d'impugnazione
di quest'ultima disposizione (in una con quella di cui al comma 527). 
    7.1.- Il comma 526 dell'art. 1 della legge  impugnata  stabilisce
che, "per l'anno 2014, con le  procedere  previste  dall'articolo  27
della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni a statuto speciale e  le
province autonome di Trento e  di  Bolzano  assicurano  un  ulteriore
concorso alla finanza  pubblica  per  l'importo  complessivo  di  240
milioni di euro. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui
al predetto articolo 27, l'importo del concorso complessivo di cui al
primo periodo del presente comma e' accantonato, a valere sulle quote
di  compartecipazione  ai  tributi  erariali,  secondo  gli   importi
indicati,  per  ciascuna  regione  a  statuto  speciale  e  provincia
autonoma, nella tabella seguente: 
 
 
    =============================================================
    |                             |Accantonamenti anno 2014 (in |
    | Regioni a statuto speciale  |      migliaia di euro)      |
    +=============================+=============================+
    |        Valle d'Aosta        |            5.540            |
    +-----------------------------+-----------------------------+
    | Provincia autonoma Bolzano  |           22.818            |
    +-----------------------------+-----------------------------+
    |  Provincia autonoma Trento  |           19.913            |
    +-----------------------------+-----------------------------+
    |    Friuli-Venezia Giulia    |           44.445            |
    +-----------------------------+-----------------------------+
    |           Sicilia           |           106.161           |
    +-----------------------------+-----------------------------+
    |          Sardegna           |           41.123            |
    +-----------------------------+-----------------------------+
    |           Totale            |          240.000"           |
    +-----------------------------+-----------------------------+
 
 
    Il comma in esame, nel determinare accantonamenti a valere  sulle
quote di compartecipazione alle entrate erariali di  spettanza  delle
Regioni a statuto speciale, determina un nuovo e ulteriore contributo
di finanza pubblica in capo alle autonomie speciali. 
    Di conseguenza, ancora una volta la norma in esame e' illegittima
per violazione degli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 Cost., anche  in
relazione al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.,  in
quanto lo Stato ha imposto un onere di finanza pubblica arbitrario  e
irragionevole, sia in ragione delle  previgenti  misure  restrittive,
sia  perche'  la  Regione  Sardegna  tuttora  attende   la   compiuta
esecuzione dell'art. 8 dello Statuto, a piu' di  quattro  anni  dalla
data prevista  di  entrata  a  regime  della  riforma  delle  entrate
regionali. 
    Gli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 Cost. sono violati perche' lo
Stato, reiterando nel tempo contributi di finanza  pubblica  in  capo
alla  Regione  sempre  piu'  onerosi,  ha   eluso   il   divieto   di
temporaneita' delle misure  finanziarie  restrittive  gravanti  sulle
autonomie   speciali,   cosi'   perpetrando   una    grave    lesione
dell'autonomia finanziaria delle Regioni stesse. 
    Violati sono anche gli artt. 3,  4,  5  e  6  dello  Statuto,  in
relazione agli artt. 7 e 8 dello  Statuto  e  117  Cost.,  in  quanto
l'onere  imposto   alla   ricorrente,   in   ragione   dell'emergenza
finanziaria" (Corte cost., sent. n. 95  del  2013)  che  grava  sulla
Regione Sardegna, e' idoneo ad  impedire  alla  Regione  l'esecuzione
delle funzioni pubbliche confidate alla ricorrente dalla Costituzione
e dallo Statuto. 
    L'art. 8 dello Statuto, si deve ripetere una volta  di  piu',  e'
stato novellato al fine di  rimediare  alle  evidenti  carenze  della
finanza  regionale,  riscontrate  in  primo   luogo   proprio   dalla
Ragioneria Generale dello Stato. Stante la  pervicace  inerzia  dello
Stato nel negare alla Regione la possibilita' di utilizzo delle nuove
risorse (pur al netto, si ripete, dei sacrifici  comunque  imposti  a
tutte le autonomie speciali), l'ulteriore irrigidimento della finanza
regionale (sia per il tramite delle regole del  patto  di  stabilita'
che attraverso ulteriori contributi di finanza pubblica)  si  risolve
in una evidente e grave violazione dell'autonomia  finanziaria  della
Regione ricorrente. 
    Ancora di conseguenza,  l'indisponibilita'  dei  fondi  spettanti
alla Regione ai sensi dell'art. 8 dello Statuto rende  impossibile  o
eccessivamente oneroso per la Regione lo svolgimento  delle  funzioni
pubbliche e dei servizi  (anche  essenziali,  come  quelli  sanitari)
assegnatile dalla Costituzione (artt. 117 e 119 Cost.), dallo Statuto
(artt. 3, 4, 5 e 6), dalle leggi dello  Stato  (per  tutte  valga  il
riferimento ai commi 836 sgg. dell'art. 1 della l. n. 296  del  2006,
che hanno operato gli ultimi - in ordine di tempo - trasferimenti  di
funzioni a carico del bilancio regionale). Di conseguenza anche  quei
parametri (artt. 3, 4, 5 e 6 dello Statuto e 117  Cost.)  sono  tutti
violati dai  commi  impugnati  (per  una  precisa  esposizione  della
condizione  economico  finanziaria   della   Regione   ricorrente   e
dell'impatto delle ulteriori misure restrittive di finanza  pubblica,
si rimanda ancora una volta alla piu' diffusa esposizione  menzionata
sub par. 2 e sub par. 3). 
    7.2.- Ne' vale ad escludere la lesivita'  del  comma  526  quanto
previsto al successivo comma 527, ove si stabilisce che "gli  importi
indicati per ciascuna regione a statuto speciale e provincia autonoma
nella tabella di cui  al  comma  526  possono  essere  modificati,  a
invarianza di concorso complessivo alla  finanza  pubblica,  mediante
accordo da sancire, entro il 31 gennaio 2014, in sede  di  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento  e  di  Bolzano.  Tale  riparto  e'  recepito  con
successivo decreto del Ministero dell'economia e delle finanze". 
    La modificazione del contributo imposto alla  Regione  ricorrente
(peraltro  solo  eventuale)  farebbe  permanere  un  onere   comunque
insostenibile per la  finanza  regionale,  in  ragione  dei  numerosi
contributi di finanza pubblica imposti dallo  Stato  alle  Regioni  a
partire (almeno) dal 2010 (esposti sopra, sub par. 3) e, soprattutto,
in ragione del fatto che la Regione ancora non riesce a  beneficiare,
per colpevole inerzia statale, dell'adeguamento delle sue  entrate  e
della relativa capacita' di spesa alla novellazione dell'art. 8 dello
Statuto. 
    Di conseguenza, dato che il comma 527 non puo' escludere in alcun
modo la lesione dell'autonomia  finanziaria  della  ricorrente,  esso
stesso e' violativo degli artt. 7 e 8 dello Statuto e  dell'art.  119
Cost., che  tutelano  e  riconoscono  l'autonomia  finanziaria  della
ricorrente. 
    7.3.- Anche i commi qui in esame, poi, sono  violativi  dell'art.
81 Cost. Trattasi, come si e'  potuto  vedere,  di  disposizioni  che
impongono nuovi contributi di finanza pubblica in capo alle  Regioni,
mediante i quali lo Stato aggira (e dunque  viola)  il  principio  di
equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci pubblici  (art.  81,
comma  1,  Cost.),  ribaltando   sulle   Regioni   il   conseguimento
dell'equilibrio di bilancio che dovrebbe conseguire con mezzi propri. 
    8.- Illegittimita' costituzionale del comma 511 dell'art. 1 della
l. 24 dicembre 2013, n. 147. Il comma 511  dell'art.  1  della  legge
impugnata prevede che "le disposizioni di cui ai commi 508, 510 e 526
cessano di avere applicazione qualora vengano raggiunte intese, entro
il 30 giugno 2014, tra lo Stato  e  ciascuna  autonomia  speciale  in
merito all'adozione di interventi diversi, in grado di concorrere  in
misura corrispondente al conseguimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica per il periodo considerato nei medesimi  commi  508,  510  e
526". 
    Quest'ultimo comma consente alle Regioni di concordare  strumenti
alternativi  per  contribuire  agli  obiettivi  di  finanza  pubblica
stabiliti ai commi 508, 510 e 526 dell'art. 1 della legge impugnata. 
    Non rileva, in questa sede, il comma 510, dato che esso  concerne
la sola Regione Valle d'Aosta  ("In  applicazione  dell'  articolo  8
della legge 26 novembre 1981, n. 690, per la regione Valle d'Aosta si
provvede per ciascun  esercizio  finanziario  all'individuazione  del
maggior gettito  con  decreto  del  Ministro  dell'economia  e  delle
finanze d'intesa con il Presidente della giunta regionale. In caso di
mancata intesa entro sessanta giorni dalla data di entrata in  vigore
del decreto del Ministero dell'economia e delle «finanze  di  cui  al
comma 508, e fino alla conclusione dell'intesa stessa, per la regione
Valle d'Aosta si  provvede  in  via  amministrativa  con  i  medesimi
criteri individuati per le altre autonomie speciali"). 
    I  commi  508  e  526,  come  si  e'  gia'  detto,  invece,  sono
radicalmente illegittimi. Il primo perche' riserva allo  Stato  somme
che,  in  virtu'  dell'art.  8  dello  Statuto,   dovrebbero   essere
compartecipate dalla Regione Sardegna. Il secondo  perche'  sottopone
la  ricorrente  ad  un  ulteriore  contributo  di  finanza   pubblica
irragionevole, arbitrario e insopportabile per  le  casse  regionali,
sostanzialmente elusivo dell'obbligo di limitazione  temporale  delle
misure restrittive per la finanza regionale. 
    La Regione impugna, col presente atto, anche i sopra citati commi
508 e 526, sicche' l'annullamento di quelle  disposizioni  renderebbe
privo di contenuto precettivo il comma 511, qui in esame. 
    Quest'ultimo, dunque,  solo  per  estremo  tuziorismo  viene  qui
censurato, sulla base della facile constatazione che esso  presuppone
comunque che la  ricorrente,  seppure  in  modalita'  diverse,  debba
sopportare l'illegittimo e rovinoso onere finanziario dei commi 508 e
526 dell'art. 1 della legge impugnata. 
    Di conseguenza,  appare  evidente  che  anche  il  comma  511  e'
illegittimo, afflitto com'e' dagli stessi vizi dei commi 508  e  526,
che debbono essere qui, una volta di piu', brevemente ricordati: 
    - e' violato l'art. 8 dello Statuto, perche' il  comma  in  esame
consente allo Stato di trattenere, seppure in modalita'  alternative,
l'equivalente delle riserve erariali disposte al comma 508  dell'art.
1 della legge impugnata, in violazione della menzionata  disposizione
statutaria che esclude in radice la legittimita' di riserve erariali; 
    - sono violati gli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119  Cost.,  anche
in relazione al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3  Cost.,
dato che la Regione e' chiamata a sostenere un contributo di  finanza
pubblica che, lo si ripete, appare arbitrario, irragionevole, elusivo
dell'obbligo di durata limitata delle misure restrittive per gli enti
territoriali e insopportabile per le finanze regionali,  sia  perche'
si situa a valle di numerosi, ingenti oneri finanziari posti in  capo
alle Regioni negli ultimi anni, sia perche' lo Stato  non  ha  ancora
dato compiuta esecuzione all'art. 8  dello  Statuto,  come  novellato
dalla l. n. 296 del 2006; 
    - e' violato l'art. 81 Cost., perche',  una  volta  di  piu',  lo
Stato non adempie all'obbligo di perseguire l'equilibrio di  bilancio
e di disporre coperture adeguate per le  proprie  spese,  trasferendo
tale incombenza sulle Regioni, vessate dagli oneri finanziari di  cui
ai commi 508 e 526 dell'art. 1 della legge impugnata. 
    Inoltre, le misure restrittive di carattere  finanziario  oggetto
del  presente   comma,   determinando   anch'esse   un   aggravamento
insostenibile della finanza regionale (per le ragioni gia'  osservate
sub par. 2 e sub par. 3), impediscono alla Regione di  esercitare  le
funzioni pubbliche confidate alla Regione dagli artt. 3,  4,  5  e  6
dello Statuto, 117 Cost. e dalle  leggi  dello  Stato.  Anche  questi
parametri, dunque, sono specificamente violati dal comma in esame.